“Il matrimonio è la tomba dell’amore”, recita un vecchio e impietoso detto, e oggi nella comunità omosessuale c’è chi si chiede se il matrimonio egualitario sarà la tomba del sesso. Mentre in Italia il riconoscimento delle coppie gay e lesbiche esiste solo da un anno, nei paesi dove il matrimonio tra persone dello stesso sesso è una realtà affermata si comincia a discutere su come l’istituto matrimoniale stia influenzando la cultura omosessuale e viceversa. Le coppie gay e lesbiche sono destinate a uniformarsi ai valori del matrimonio tradizionale o saranno una forza innovatrice anche per le unioni etero?

Uno degli aspetti che attira l’attenzione degli esperti e della stampa è la diffusione delle coppie aperte tra gli omosessuali. Nonostante sia difficile raccogliere dati sui “matrimoni aperti”, cioè quelli dove i partner non godono di un rapporto sessuale esclusivo, una ricerca condotta dallo psicologo Steve Brody della Cambria university, in California, ha stimato che negli Stati Uniti questi sono l’1 per cento del totale, e per di più non se la passano bene: nel 92 per cento dei casi sono matrimoni che falliscono. Se però guardiamo i dati delle coppie formate da due uomini, allora è tutta un’altra storia: circa la metà delle relazioni gay sono coppie aperte e questo non sembra avere effetti sul loro buon funzionamento.

Nel 2013 la columnist Hanna Roisin scriveva su Slate del “piccolo segreto peccaminoso” della comunità gay, raccontando che negli anni ottanta le coppie di uomini non monogamiche erano più dell’80 per cento. Durante gli anni della lotta per i diritti civili, le associazioni lgbt non sono state molto propense a insistere su questo aspetto per paura di favorire chi si opponeva al matrimonio egualitario, sventolando la promiscuità sessuale delle persone gay. Ora che però il riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso è stato raggiunto in tutti i paesi occidentali, sembra che lo stile di vita non monogamico degli omosessuali stia perdendo il suo carattere peccaminoso e, soprattutto, che non sia più un segreto.

Coming out
La stampa ha infatti cominciato a trattare l’argomento con una certa scioltezza. “Gli omosessuali devono fare coming out sui loro matrimoni aperti”, è il titolo di un articolo su The Daily Beast. Scrive Nico Lang: “Il 2015 è stato l’anno del matrimonio egualitario e adesso è arrivato il momento di celebrare l’apertura che sta al centro di molte unioni tra persone dello stesso sesso”. Il Guardian racconta della crescente diffusione del modello non monogamico tra gli omosessuali maschi e avanza l’ipotesi che questo tipo di unione raggiunga un livello maggiore di intimità e comprensione:

Che siano gli omosessuali a guidare l’evoluzione verso modelli di coppia più moderni non sorprende affatto: siccome sono stati esclusi a lungo dalla classificazione dei comportamenti sessuali tradizionali, hanno dovuto darsi da soli delle regole create su misura.

La repressione dell’omossessualità avrebbe quindi lasciato spazio alla creazione di nuove abitudini di coppia al riparo dai dettami sociali, che nel tempo si sono tramutate in una cultura ampiamente accettata della comunità lgbt. Nel Regno Unito il 41 per cento delle coppie formate da due uomini non pratica la monogamia e in tre casi su quattro si è trattato di una decisione presa in completo accordo.

Ma oltre al particolare contesto sociale, è possibile che anche l’aspetto individuale giochi un ruolo importante: è possibile infatti che gli omosessuali durante la fase precedente al coming out, in cui devono prendere atto del loro orientamento sessuale e accettarlo, sviluppino una maggiore capacità rispetto agli etero di analizzare il proprio comportamento sessuale e di parlarne con più facilità. Una sorta di intelligenza sessuale che, come quella emotiva, può diventare un importante strumento per garantire il benessere di una coppia.

Molte sfaccettature
Naveen Jonathan, psicoterapeuta familiare e professore alla Chapman university in California, spiega sull’Atlantic che molte coppie gay presentano una profonda consapevolezza della propria sfera sessuale e sono in grado di accordarsi su fino a che punto è lecito spingersi: “Stabiliscono in modo abbastanza elaborato quali sono le situazioni in cui va bene non essere monogami e quelle in cui bisogna esserlo”. Anche se accordi simili esistono pure nelle coppie uomo-donna, Jonathan ha notato che nella maggior parte dei casi gli etero presumono automaticamente che il loro rapporto sia monogamico e sono molto meno propensi rispetto agli uomini gay a parlare apertamente di sesso, di calo del desiderio e di difficoltà a mantenere un rapporto sessuale esclusivo.

L’apertura delle coppie gay ha molte forme e sfaccettature, le cui caratteristiche sono delineate proprio da quegli accordi altamente specifici di cui parla Jonathan. Esistono coppie che nascono aperte, ma sono più numerose quelle che lo diventano dopo qualche anno. E poi il Guardian raccoglie esempi di apertura regolata: c’è chi ammette rapporti con altre persone, ma non il bacio; chi si apre solo per accogliere una terza persona nel loro rapporto; chi è monogamo a periodi alterni; chi invece si lascia completa libertà di azione e anzi condivide l’eccitazione di sapere che il proprio partner si incontra con altre persone. Insomma, potenzialmente ogni coppia potrebbe trovare la sua formula specifica.

Lo scorso anno il tema della monogamia all’interno delle coppie omosessuali è finito al centro del dibattito parlamentare italiano, durante la discussione della legge sulle unioni civili. Alla vigilia dell’approvazione della legge Cirinnà, il Nuovo centro destra ha preteso l’eliminazione dell’obbligo di fedeltà nel tentativo di ridimensionare le unioni civili rispetto al matrimonio tradizionale. Ma quello che nelle intenzioni del partito di Alfano era un modo per svilire ulteriormente la nuova istituzione potrebbe invece averne sottolineato un punto di forza, considerando che il 45 per cento degli italiani sposati o in coppia dichiara di aver tradito il partner e che il nostro paese ha il più alto tasso di relazioni extraconiugali in Europa (fonte Ifop).

È interessante notare però che questa tendenza alla non monogamia riguarda esclusivamente gli omosessuali maschi e non le lesbiche. Nel 2015 il columnist Dan Savage ha riassunto così la sua visione sull’esclusività sessuale all’interno dei vari tipi di coppia:

Le cose vanno così: le coppie meno inclini a essere monogamiche sono quelle formate da due uomini. Quelle che ci riescono un po’ di più? Le coppie etero; e quelle più monogamiche di tutte? Le coppie lesbiche. È evidente che il problema della monogamia è il cazzo. Quindi è molto semplice: se volete salvare l’istituzione matrimoniale, vietate agli uomini di sposarsi.

Quando ho intervistato Dan Savage durante lo scorso festival di Internazionale a Ferrara, l’ho provocato chiedendogli di raccontare al pubblico quale fosse la sua personale visione della “relazione che c’è tra la monogamia e il cazzo”. Ma lui mi ha sorpreso: “Rispetto a quando ho fatto quella dichiarazione il mio pensiero si è evoluto, perché nel frattempo si è diffuso il matrimonio egualitario e sono emersi i primi dati sui divorzi: ebbene, i matrimoni più longevi sono quelli tra due uomini, al secondo posto ci sono quelli etero e infine quelli che durano meno sono quelli tra due donne. Quindi forse il problema del matrimonio non è il cazzo, ma la pretesa di monogamia. E le coppie di uomini sembrano cavarsela meglio in questo campo”.

Il motivo per cui l’esplorazione del rapporto di coppia aperta sia portata avanti soprattutto da coppie omosessuali maschili e non da quelle femminili sembra trascendere la questione dell’omosessualità e avere radici nel dibattito molto più ampio sulla repressione delle sessualità femminile portato avanti dal femminismo negli ultimi decenni.

La maggior parte degli studi dice che l’atteggiamento delle donne lesbiche nei confronti della monogamia è praticamente identico – se non perfino più chiuso – rispetto a quello delle donne eterosessuali, facendo pensare che, prima ancora dell’orientamento sessuale, sia l’appartenenza al sesso femminile l’aspetto determinante di questa tendenza. Che siano lesbiche o etero, le donne si comportano alla stessa maniera e, anche senza voler entrare in un dibattito troppo complesso, si può affermare che la mentalità maschilista che ancora pervade la nostra visione del comportamento sessuale delle donne ha un peso non indifferente sulle loro scelte.

E i giovani?
Oltre alle lesbiche c’è poi un altra parte della comunità omosessuale che mostra meno entusiasmo nei confronti della coppia aperta: i più giovani. Uno studio condotto dal ricercatori Blake Spears e Lanz Lowen ha infatti indicato che la nuova generazione di gay tende alla monogamia molto più di quelle precedenti: “L’aspetto più dirompente è la nettissima prevalenza di relazioni monogamiche (86 per cento), ma anche il fatto che il 90 per cento dei uomini gay nella fascia di età più bassa ambisce a una relazione esclusiva. Questo è un cambiamento epocale rispetto alle generazioni passate”.

Tra le cause di questa tendenza c’è sicuramente il riconoscimento delle unioni omosessuali e la maggiore accettazione dell’omosessualità, che portano i più giovani ad avere un comportamento maggiormente uniformato alle relazioni etero. Però va anche tenuta presente la natura del campione in questione: gli intervistati che erano in coppia erano comunque persone giovani, in un’età in cui le relazioni durano meno e in cui non hanno ancora raggiunto il calo dell’attrazione, che è il momento in cui la maggior parte delle coppie gay sembra cominciare a considerare alternative all’esclusività sessuale.

Resta da vedere se in età adulta i ragazzi sapranno invece beneficiare dell’intelligenza sessuale acquisita durante gli anni della presa di coscienza del loro orientamento e adattare le relazioni alle loro nuove esigenze. E dopo decenni in cui abbiamo assistito alla normalizzazione dell’omosessualità, sarebbe anche interessante vedere se stavolta saranno gli eterosessuali a uniformarsi ai gay e non viceversa, slegando la riflessione sull’esclusività sessuale dal modello univoco, per molte coppie perfino irrealistico, che è stato imposto finora.

Un salto culturale che richiederà anche la creazione di un contesto libero da pregiudizi: in un articolo che racconta come gli studi scientifici sulla monogamia siano spesso influenzati da un invisibile preconcetto morale, Quartz fa notare che l’uso di termini come “infedeltà” e “tradimento”, o perfino “vittima”, finiscono per inibire gli intervistati e nuocere alla neutralità delle ricerche.

Nelle conclusioni della loro ricerca sul comportamento dei più giovani, Spears e Lanz esprimono chiaramente questa esigenza: “Durante le interviste abbiamo notato che stranamente tutti i ragazzi impegnati in una relazione, a prescindere che fossero in una relazione monogamica o meno, si sono lamentati di ricevere critiche nei confronti del tipo di coppia che avevano scelto. Questo ci fa capire che, come comunità lgbt, dovremmo smettere di fare proselitismo per il tipo di coppia che preferiamo e smettere di demonizzare quello a cui non aderiamo, creando invece un ambiente nel quale poter discutere serenamente e scegliere in piena libertà sia il modello monogamico sia la coppia aperta”.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it