La vera vincitrice di Sanremo è una virtuosa fuori dal tempo
Sanremo non è ancora finito ma ha già una vincitrice. È Virginia Raffaele, l’imitatrice-mattatrice che ha messo in ombra tutto e tutti: il conduttore, le canzoni, gli altri comici, i nastri arcobaleno e gli arzilli centenari.
Raffaele è una virtuosa, è il Paganini degli imitatori. Eppure non mi ha strappato una risata. La ammiro per l’abilità mimetica, per i tempi comici, per i testi, per tutto ma non rido.
È come guardare uno spettacolo di un’altra era o di un’altra cultura: una danza balinese, l’opera cinese, i pupi siciliani. Raffaele, nonostante la sua brillantezza, sembra muoversi in uno spazio astratto, fuori dal tempo. È l’esibizione stilizzata di una maschera del teatro kabuki, da cui nessuno si aspetta sorprese ma solo il ripetersi di un rituale, di una nobile, antica arte.
Mi chiedo perché mi faccia questo effetto, visto che lei è così brava. Forse perché l’imitazione, come forma di spettacolo, negli ultimi anni si è svuotata di senso e non riesce più a farmi uscire da me e farmi esplodere in una liberatoria, irrazionale risata.
L’imitazione aveva senso in un’epoca (ancora molto recente) in cui doveva colmare la distanza tra noi e la gente famosa. L’imitatore diventava un tramite tra il pubblico e i semidei dello spettacolo, della cultura o della politica. Gli strappava la maschera, li umanizzava, li rendeva grotteschi, li trascinava senza pietà in mezzo a noi.
Oggi questa distanza non esiste più. La gente famosa è su Facebook che posta gattini come chiunque, è su Instagram senza trucco, twitta stupidaggini e si accapiglia nei reality. Come fa un comico a essere più grottesco dell’account Twitter di Gasparri? Più volgare di certi interventi in senato sul decreto Cirinnà? Più ridicolo di Madonna che posta una foto della Barale spacciandola per sua?
Ognuno di noi è già molto impegnato a fare l’imitazione di se stesso
Poi nell’equazione ci siamo noi. Il pubblico. Anche noi passiamo le giornate a mascherarci: a scegliere la foto migliore per il nostro profilo, a mostrarci felici, sexy, ricchi o intelligenti. Sappiamo qual è il nostro lato buono per un selfie e sappiamo quando è bene taggarsi in un posto o quando è meglio lasciar perdere. Su Facebook siamo una cosa, su Tinder e su Grindr un’altra e su LinkedIn un’altra ancora. Ognuno di noi è già molto impegnato a fare l’imitazione di se stesso ed è già inconsciamente padrone delle tecniche che Virginia Raffaele sa dominare da fuoriclasse.
Per una manciata di secondi, all’inizio della prima serata di Sanremo, pensavo che sul palco dell’Ariston ci fosse effettivamente Sabrina Ferilli. E la cosa funzionava. La vera Ferilli con dei testi autoironici e intelligenti come quelli di Virginia Raffaele poteva tranquillamente essere credibile in quella situazione. Raffaele era semplicemente, come direbbero gli U2, even better then the real thing. Ma ormai l’imitazione è un gioco di specchi.
Con l’imitazione di Donatella Versace, la cosa è diventata particolarmente evidente. Raffaele lì pecca di hybris. Come può sperare di volare alto come la vera Donatella? È lì che gli dei la puniscono e che le sue ali di cera cedono e la fanno piombare rovinosamente per terra. Onestamente, quale imitatore, quale comico, quale genio può eguagliare l’ice bucket challenge della vera Donatella Versace?