Il pensiero e il colore di Carla Accardi
Il 9 febbraio, dopo tre mesi di “zona rossa”, sarà di nuovo visitabile la bella antologica di Carla Accardi allestita al Museo del novecento di Milano.
Accardi (1924-2014) è stata una protagonista dell’astrattismo europeo e questa mostra, intelligentemente intitolata Contesti, cerca di ricostruire la parabola della sua ricerca attraverso i vari ambiti intellettuali, critici e politici in cui si è mossa nel corso della sua vita, dalla Sicilia, dove è nata, a Firenze, da Roma a Venezia, da Parigi a New York. Più che una retrospettiva con pretese di esaustività è una mostra che ripropone il percorso intellettuale di un’artista che a partire dall’immediato dopoguerra fino al nuovo millennio, ha sperimentato, ha discusso, ha rivendicato spazi e indipendenza e ha più volte ripensato, anche radicalmente, la propria arte. In mostra ci sono una settantina di opere, molto diverse tra loro, che testimoniano non solo l’evoluzione della sua pittura ma anche la sua capacità di confrontarsi, di interagire con l’esterno e di creare innesti continui con il dibattito artistico contemporaneo.
È proprio il dibattito il fulcro di questa mostra: Accardi è sempre stata una militante, sia si trattasse di pratica artistica, sia si trattasse di critica, di politica o di femminismo. Si è sempre fatta chiamare “artista” e non “pittrice”: “Ero certa di voler fare qualcosa di diverso da quello che facevano le donne artiste”, ha detto nel 2004 in un’intervista: “Per me queste ultime erano soprattutto delle pittrici, delle signore che si dilettavano. Mi volevo allontanare il più possibile da quell’immagine”. Il mondo dell’avanguardia in cui, fin dagli anni quaranta, si muoveva Carla Accardi era un mondo piuttosto maschilista: le donne potevano al massimo ambire a essere compagne o muse, e se facevano arte erano nella migliore delle ipotesi tollerate. Ad Accardi certo non bastava avere “una stanza tutta per sé”, voleva prendere parte al dibattito e nel 1970 ebbe, insieme a Carla Lonzi ed Elvira Banotti, un ruolo fondamentale nella stesura del Manifesto di rivolta femminile. In uno dei punti del manifesto sembra di sentire la sua voce di artista: “Riesaminiamo gli apporti creativi della donna alla comunità e sfatiamo il mito della sua laboriosità sussidiaria”.
La mostra comincia con i primi lavori astratti legati agli esordi del gruppo Forma. Siamo nell’immediato dopoguerra e Accardi era appena ventenne, da poco trasferita dalla Sicilia a Roma (via Firenze dove aveva frequentato per qualche mese l’Accademia di belle arti). I suoi lavori degli anni quaranta non hanno nulla di giovanile, sono già perfettamente compiuti e allineati con le esperienze internazionali di post-cubisti, futuristi e costruttivisti. La lezione di Kandinskij, Klee e Mondrian era già metabolizzata e gli italiani Boccioni, Severini e Balla, soprattutto Balla, erano i suoi numi tutelari.
Sala dopo sala assistiamo all’evoluzione laboriosa ma sempre gioiosa della sua pittura: dall’astrattismo segnico degli anni cinquanta fino alla pittura su sicofoil tra gli anni sessanta e settanta. Il sicofoil, o acetato di cellulosa, è una sottile pellicola trasparente che Accardi usa come supporto: a volte ci dipinge sopra con straordinari effetti luminosi, a volte crea i suoi motivi astratti semplicemente sovrapponendo e intrecciando i fogli, come in Trasparente del 1975, che sembra il fantasma di una tela diafana e inafferrabile montata su un telaio nudo. Come per molti altri artisti si è detto che Accardi negli anni ottanta è tornata alla pittura. In realtà non l’aveva mai lasciata, neanche con i più immateriali dei suoi lavori in sicofoil: semplicemente riscopre la tela, anche grezza come in Capriccio spagnolo (1982) e il colore più sgargiante come in Per gli stretti spazi n. 1 (1988).
Carla Accardi. Contesti è un viaggio non solo nella pittura di una grande maestra del novecento ma è anche un omaggio a uno spirito critico, curioso, coraggioso e sempre in cerca di agganci con la contemporaneità.