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L’attentatore e l’aspirante dittatore

In un ristorante a Milwaukee, nel Wisconsin, 13 luglio 2024. (Michael M. Santiago, Getty Images)

Quando un folle ha quasi ucciso a colpi di martello il marito dell’ex presidente della camera Nancy Pelosi, Donald Trump si è lasciato andare a una serie di battute e prese in giro. In quell’occasione uno dei figli di Trump e altri suoi sostenitori hanno insinuato falsamente che Paul Pelosi se la fosse cercata e che l’aggressione fosse il frutto di una disavventura sessuale.

Quando le forze dell’ordine hanno arrestato un estremista di destra che si preparava a rapire la governatrice democratica del Michigan Gretchen Whitmer, Trump ha sminuito la vicenda durante un raduno dei suoi elettori, aggredendo Whitmer e trattandola come un nemico politico. Quel giorno, quando i suoi sostenitori hanno scandito lo slogan “rinchiudetela”, Trump si è messo a ridere e ha risposto: “Rinchiudeteli tutti!”.

Il fascismo si nutre di violenza. Nei mesi successivi all’assalto dei sostenitori di Trump al campidoglio per ribaltare il risultato delle elezioni del 2020 – durante il quale molti rivoltosi avevano minacciato fisicamente Pelosi e il vicepresidente Mike Pence – Trump ha elogiato gli aspiranti sequestratori e assassini come se fossero martiri e ostaggi. E ha promesso di concedergli la grazia se fosse riuscito a tornare alla Casa Bianca. In seguito i suoi stessi collaboratori hanno raccontato che Trump aveva osservato con grande allegria le immagini del caos in tv.

Ora Trump è caduto vittima della stessa violenza che ha incitato nei confronti degli altri. Il tentato omicidio dell’ex presidente e l’omicidio di una persona che si trovava vicina a lui suscitano giustamente il nostro orrore e la nostra rabbia. Nei prossimi giorni scopriremo chi era l’uomo che ha commesso questo atto riprovevole prima di essere ucciso dagli agenti dei servizi di sicurezza, ma a prescindere dalle motivazioni e dalle manie dell’attentatore, l’unico aspetto importante che lo riguarda è l’errore commesso dalle forze dell’ordine, che gli hanno permesso di portare un’arma da fuoco così vicino a un raduno politico e di puntarla direttamente contro un candidato alla presidenza. Per il resto, il suo nome dovrebbe essere cancellato e dimenticato.

Sostenere come hanno fatto in molti che la violenza politica non abbia “diritto di cittadinanza” negli Stati Uniti è tristemente inesatto. Gli omicidi, i linciaggi, le rivolte e i pogrom hanno macchiato ogni pagina della storia politica di questo paese fino ai giorni nostri. Nel 2016 e ancora di più nel 2020, i sostenitori di Trump hanno fatto ricorso alle armi per intimidire gli avversari e gli scrutatori nei seggi. Oggi è evidente che Trump e i suoi adepti pensano alla violenza come una loro caratteristica distintiva nella corsa alle elezioni di novembre.

I movimenti fascisti sono religioni laiche, e come tutte le religioni creano martiri da presentare come prova della loro verità. Il movimento forgiato da Mussolini in Italia ha costruito enormi monumenti per commemorare i camerati caduti. Quello di Trump ha fatto un passo ulteriore: il leader in persona diventerà il martire in capo e il suo sangue sarà la base della sua scalata verso il potere e la vendetta.

Già prima dell’attentato le elezioni del 2024 si erano trasformate in una battaglia simbolica tra un liberalismo troppo vecchio, debole e incerto per difendere se stesso e un movimento autoritario e reazionario pronto a distruggere ogni barriera e annichilire ogni istituzione. Finora Trump ha rappresentato sempre una minoranza di elettori, ma l’entusiasmo e l’audacia di questa minoranza hanno compensato lo svantaggio numerico. Dopo la sparatoria, Trump e i suoi sostenitori sperano di utilizzare l’iconografia di un orecchio e di una faccia sanguinanti, di un pugno chiuso e del grido “Combattiamo!” per fare proseliti e insediare un leader anticostituzionale che si pone al di sopra delle leggi grazie ai suoi alleati all’interno della corte suprema.

Altre società sono scivolate nell’autoritarismo a causa di crisi profonde: crolli economici, iperinflazione, sconfitte militari, sommosse civili. Tuttavia, in questo momento gli Stati Uniti non sono in guerra, l’economia è in grande crescita (con una prosperità enorme e abbastanza condivisa), il breve spasmo dell’inflazione dopo la pandemia è stato superato e gli indicatori della salute sociale sono improvvisamente diventati positivi dopo gli anni di Trump alla Casa Bianca, segnati dal peggioramento della situazione. Il crimine e i morti per overdose sono in calo, mentre i matrimoni e le nascite aumentano. Anche i problemi che ancora affliggono il paese testimoniano il successo degli Stati Uniti: i migranti attraversano il confine a centinaia di migliaia perché sanno bene (al contrario degli americani) che il mercato del lavoro è uno dei più allettanti del mondo.

Eppure, nonostante questo momento positivo, gli elettori stanno considerando la possibilità di scegliere una forma di autolesionismo che in altri paesi è arrivata solo dopo crisi drammatiche, permettendo all’autore di un golpe fallito di riconquistare il potere.

Uno dei motivi per cui questo autolesionismo appare vicino al suo compimento è che la società statunitense non è in grado di capire e reagire alle minacce radicali una volta che hanno assunto una certa dimensione. Per quasi un secolo, nella politica americana la parola “radicale” di solito è stata sinonimo di “marginale”. Comunisti, sostenitori del Ku Klux Klan, militanti delle Black panthers, davidiani, jihadisti islamici. I radicali sono stati regolarmente messi ai margini del grande consenso americano, che spazia dalla socialdemocrazia al conservatorismo. A volte un Joseph McCarthy o un George Wallace hanno aperto una crepa nel consenso generale, ma in passato queste minacce non hanno quasi mai stretto un’alleanza con la politica tradizionale. Incapaci di aggredire le istituzioni dello stato, i movimenti radicali si sono spenti rapidamente.

Trump è tutta un’altra storia, perché i suoi abusi sono stati legittimati da un elettorato forte e numeroso. L’ex presidente ha conquistato e colonizzato uno dei due maggiori partiti del paese, superando indenne (e sta per farlo di nuovo) ogni tentativo di impeachment e procedimento giudiziario avviato per punire i suoi crimini. Trump si è assicurato un seguito enorme che è più numeroso, determinato e diffuso su scala nazionale rispetto a quelli di tutti i demagoghi del passato. Domina la scena ormai da nove anni e oggi i suoi sostenitori sperano di sfruttare l’attentato per prolungare la sua era, almeno fino alla fine della vita del loro leader e magari anche oltre.

Il sistema politico e sociale degli Stati Uniti non è programmato per considerare una persona simile come un alieno. Inevitabilmente, deve accoglierlo e integrarlo. I consulenti di Trump, anche quelli che sono innegabilmente criminali e delinquenti, fanno ormai parte del dialogo al vertice dell’élite statunitense. Il presidente Joe Biden ha quasi mandato all’aria la sua campagna elettorale perché si è sentito in dovere di affrontare Trump in un dibattito. Biden, in fondo, non avrebbe potuto fare altrimenti. Trump è stato nominato per tre volte candidato alla presidenza, dunque è impossibile trattarlo come un rivoltoso che vorrebbe ribaltare lo stato, anche se questo è precisamente ciò che è stato ed è ancora.

Lo spregevole attentato contro di lui, che tra l’altro ha provocato la morte e il ferimento di altre persone, oggi suggella immeritatamente lo status di Trump come partner nei rituali della democrazia che tanto disprezza. Le giuste manifestazioni di sgomento e condanna espresse da ogni voce autorevole della società americana hanno l’effetto aggiuntivo di far familiarizzare gli statunitensi con la legittimità di Trump. Davanti a un fatto così drammatico, la reazione più comune e adeguata è sempre stata quella di esprimere unità e proclamare che gli elementi in comune tra tutti gli statunitensi sono più numerosi delle differenze. Ma queste parole, corrette in passato, oggi lo sono molto meno.

Nessuno sembra possedere il linguaggio che servirebbe per dichiarare che “detestiamo, rifiutiamo, ripudiamo e puniremo qualsiasi violenza politica ma allo stesso tempo ribadiamo che Trump è uno dei promotori di questa violenza, un sovvertitore delle istituzioni e l’esatto contrario di tutto ciò che di apprezzabile e patriottico c’è nella vita degli Stati Uniti”.

Sul palco della convention repubblicana che si aprirà in settimana saliranno apologeti di Vladimir Putin e della sua aggressione contro gli alleati degli Stati Uniti. D’altronde la fascinazione di Trump nei confronti della Russia e di altri regimi dittatoriali ha resistito bene alla prova del tempo. Eppure, oggi, queste verità innegabili passano in secondo piano davanti all’immancabile serie di “preghiere e auguri” per sostenere un uomo che non ha mai rivolto un augurio né recitato una preghiera per le vittime del suo incitamento alla violenza. Il presidente che ha utilizzato il suo incarico per difendere il diritto di persone pericolose a possedere armi automatiche di tipo militare è stato sfiorato da un proiettile partito da un fucile d’assalto.

Le frasi di circostanza e l’ipocrisia hanno un ruolo determinante nella vita sociale. Diciamo “grazie per il servizio reso” sia al vero eroe sia al veterano che ha rischiato di essere congedato con disonore, perché è più facile che provare a distinguere chi lo merita e chi no. Auguriamo “Buon anno!” anche quando siamo terrorizzati dai mesi che ci attendono.

Ma le frasi di circostanza non cadono nel silenzio. Hanno un effetto e soprattutto un significato, potenti anche loro. Denunciando giustamente la violenza, stiamo garantendo un perdono implicito alla persona più violenta nella politica contemporanea. Sfoggiando unità, stiamo assolvendo un uomo che cerca di conquistare il potere umiliando e sottomettendo i suoi avversari.

E così le frasi di circostanza stanno regalando a Trump un posto d’onore nella vita pubblica statunitense, un posto che avrebbe dovuto perdere per sempre dopo il 6 gennaio 2021. Tutte le persone per bene sono felici che Trump non sia stato ucciso, perché la resa dei conti deve avvenire esclusivamente al termine di processi giudiziari e non attraverso la stessa violenza che ha suscitato il divertimento del candidato repubblicano quando ha colpito altri.

Trump e i suoi alleati sfrutteranno il crimine di un folle per cancellare i crimini passati dell’ex presidente e per favorirne di nuovi. Chi si oppone a Trump e ai suoi seguaci deve trovare il coraggio e le parole giuste per spiegare perché questi crimini – passati, presenti e già pianificati per il futuro – sono intollerabili, e perché Trump e il suo attentatore, agli estremi opposti della traiettoria di un proiettile, sono uniti dal fatto di essere nemici della legge e della democrazia.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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