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La meteorologia è una faccenda che riguarda l’Italia

Spettatori agli Open di golf a Carnoustie, Scozia, 1953. (Carl Mydans, The Life picture collection/Getty Images)

Vi propongo un indovinello. Quale rubrica dei quotidiani a volte sbaglia ma non è mai accusata di diffondere “false notizie”? Risposta: quella delle previsioni del tempo. Anche quando nuvole impreviste e portatrici di pioggia rovinano una gita in collina o sulla costa, solo il più folle dei teorici del complotto penserebbe che le previsioni che ci hanno invogliato a programmare una giornata all’aperto non siano state frutto di un onesto tentativo di essere precisi. Confidiamo che sia così, e la nostra fede è giustificata.

Oggi le previsioni del tempo sono più accurate che mai. Io lo so bene. Vivo nel sud dell’Inghilterra e quindi sul percorso delle capricciose perturbazioni atmosferiche provenienti dall’Atlantico che, con un preavviso di sole 24 ore, possono cambiare direzione e trasformare quella che doveva essere una bella giornata in un incubo, e viceversa.

Chi passa molte ore all’aperto come me, e vorrebbe sapere se mercoledì ci sarà il sole o se domenica pioverà, può verificare quotidianamente che le previsioni meteo sono più affidabili che in passato.

Motivo di orgoglio
La storia di come, nel corso dei secoli, siamo arrivati a questo piacevole risultato dovrebbe essere motivo di orgoglio sia per me sia per voi, dato che è una storia in buona parte britannica e italiana. I suoi protagonisti sono stati spesso bizzarri, a volte ridicoli, altre ancora tragici, ma sempre geniali.

Potremmo cominciare, per esempio, con il personaggio che meno vi aspettereste di trovare nella storia della meteorologia: Charles Dickens che, negli anni quaranta dell’ottocento, tra un romanzo e l’altro trovò il tempo di dirigere il Daily News e fu il primo a pubblicare ogni giorno le previsioni del tempo (che, temo, erano spesso inventate come le trame dei suoi libri).

Francis Galton era stato un bambino prodigio e scrisse il più noto manuale di meteorologia

Poi c’è stato l’uomo che inventò le previsioni scientifiche, un marinaio britannico di nome Robert Fitzroy, il comandante del Beagle, la nave che portò Charles Darwin alle Galapagos e alla scoperta dell’evoluzione. Nel 1859, durante una tempesta, 423 persone persero la vita nel naufragio di una nave britannica al largo delle coste del Galles. Fitzroy pensò che, se ci fossero state stazioni in tutto il paese che inviavano ogni giorno messaggi telegrafici a Londra, sarebbe stato più facile prevedere il tempo. Riuscì a convincere il governo britannico a finanziare il progetto e cominciò a produrre quelle che chiamò “previsioni meteorologiche”.

Previsioni e tazze di tè
Nel 1861, il Times di Londra cominciò a pubblicarle quotidianamente. Erano piuttosto approssimative e ben presto divennero oggetto di derisione perché spesso erano sbagliate. Fitzroy aveva investito quasi tutta la sua fortuna nella creazione di quel primo servizio meteo nazionale e, visto che i fondi cominciavano a scarseggiare e le critiche continuavano a piovere, cadde in depressione. Una mattina del 1865, si alzò, diede un ultimo bacio alla figlia, si chiuse nella sua stanza e si tagliò la gola con un rasoio.

A continuare la sua opera fu Francis Galton, uno di quegli straordinari scienziati vittoriani protagonista di tutta una serie di innovazioni. Galton era stato un bambino prodigio: a due anni sapeva leggere, a cinque studiava il greco e a sei era in grado di apprezzare Shakespeare. In seguito introdusse il concetto statistico di correlazione, inventò un sistema per classificare le impronte digitali, fu tra i primi a usare i questionari in sociologia, condusse uno studio accademico su come preparare la tazza di tè perfetta e fece molte altre cose.

Ma è ricordato soprattutto come meteorologo, in particolare per la sua teoria degli anticicloni (le zone di alta pressione intorno alle quali circola l’aria), per aver creato un sistema che permetteva di raccogliere informazioni sul tempo in tutta l’Europa e per aver scritto quello che per molti anni è stato il manuale classico di meteorologia. Fu lui a produrre anche le prime carte meteo (pubblicate sul Times a partire dal 1875), complete di isobare (le linee che collegano tutti i punti con la stessa pressione atmosferica), velocità dei venti e simboli per il sole, la pioggia e le nuvole. Per migliorare la qualità delle previsioni e delle notizie sul tempo e renderle affidabili ci sarebbe voluta qualche altra decina di anni, ma le fondamenta erano state gettate.

Niente di tutto questo sarebbe stato possibile senza le invenzioni di alcuni italiani molti anni prima. Il primo vero termometro lo dobbiamo a Galileo Galilei, l’idea di usare un anemometro per misurare la velocità del vento fu invece di un architetto del quattrocento, Leon Battista Alberti. Leonardo da Vinci inventò l’igrometro per misurare l’umidità e, nel 1643, Evangelista Torricelli fabbricò il primo barometro a mercurio, che era lungo addirittura un metro.

E a completare l’equipaggiamento base dei primi meteorologi arrivò lo schermo di Stevenson, la capannina con le persiane per gli strumenti di misurazione che li protegge dalla luce diretta del sole e dalla pioggia ma consente all’aria di circolare. A inventarla, nel 1884, fu Thomas Stevenson, il padre di Robert Louis Stevenson, l’autore di classici come L’isola del tesoro e Il dottor Jekyll e Mr Hyde.

Perciò, visti questi precedenti, è stato quasi doveroso scegliere la città di Bologna come sede di una sezione del Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine (Ecmwf), che quest’anno lascerà il Regno Unito. Nell’area della ex Manifattura tabacchi sarà ospitato il più grande archivio di statistiche meteo del mondo e uno dei più grandi supercomputer d’Europa, a conferma del fatto che lo studio dei fenomeni meteo è una faccenda angloitaliana.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

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