Non è disimpegno
Astenersi è “tenersi lontano da”. Il verbo suggerisce un gesto calmo della mano, un no grazie, un allontanare il calice pur non essendo astemi. Ma appena urta contro le elezioni, ecco che ci allarma come una borsa abbandonata in un vagone della metro.
Ora l’astensionismo ha sicuramente qualche ragione terra terra (è una bella giornata, andiamocene al mare) mal celata dietro il mugugno qualunquista (sono tutti ladri). Ma è altrettanto sicuro, ormai, che mettere una certa distanza tra sé e le urne è un gesto politico di tutto rispetto a cui guardano, tra l’altro, i cittadini sempre più numerosi che non sono nemmeno usciti dal seggio e già sono scontenti del voto dato. Con quel gesto ci si tira fuori da un gioco democratico che di democratico ha sempre meno; si prende atto che tutti quelli che in questo momento storico si sbracciano per rappresentarci non sfiorano nemmeno un poco l’idea di politica che abbiamo in mente noi, stufi di optare per il male minore; si segnala che l’astensione non è disimpegno ma la premessa per cercare altre vie di intervento contro i guasti dell’esistente.
È sbagliatissimo dunque liquidare quest’area con la formula: ti sei astenuto, peggio per te, ora non mettere becco, non disturbare il manovratore. Vedersela, a rito compiuto, tra felici pochi è tenersi pericolosamente lontano dalle procedure di base della democrazia.
Questa rubrica è stata pubblicata il 10 giugno 2016 a pagina 16 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati