Non finisce mai di stupire come personaggi che stanno sempre in tv quasi inavvertitamente usino il monitor come uno specchio. È una situazione imbarazzante su cui vale la pena di insistere.
Noi spettatori siamo a casa nostra, sul divano, a guardarli mentre ci parlano sciorinando pensieri e pensate contro pensieri e pensate altrui. Pare che abbiano a cuore le sorti della nostra disgraziata comunità e quelle dell’intero pianeta. Pare che sentano la nostra presenza davanti allo schermo come la loro stessa ragione di vita. Poi ecco che si specchiano nel monitor. Ravviano il ciuffo con le dita, si sistemano la cravatta, si mordono il labbro inferiore, arricciano il naso. Cosa sta accadendo?
Si sono ricordati di sé e si sono dimenticati di noi. Non gli stiamo più a cuore. O almeno non gli stiamo a cuore quanto stanno a cuore a se stessi, quanto gli sta a cuore la propria immagine. Curano la loro apparenza al punto che, come gli inquisiti durante gli interrogatori nei telefilm, dimenticano che dietro lo specchio ci siamo noi e che da seri che li pensavamo, ora li sentiamo ridicoli. Ridicoli ma anche umani, come noi. Anzi, proprio questo loro cedimento ci svela uno spettacolo più angoscioso, quello dei professionisti della tv. Loro, in onda, non si specchiano mai, non aprono crepe nella finzione televisiva. Forse perciò ci meravigliano, ci spaventano certi triviali fuorionda.
Questa rubrica è stata pubblicata il 23 giugno 2017 a pagina 12 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati
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