Il cinema americano e ancor più le serie televisive non hanno peli sulla lingua in fatto di contiguità tra istituzioni e crimine. House of cards è l’esempio più citato. Ma la lista è lunghissima, in quell’immaginario lo stato è un delinquente tra delinquenti.

Su questa linea è Prison break (2008), ma con qualche notazione ancora più audace. La serie è ambientata in una prigione e i ferocissimi criminali chiusi in gabbia risultano a poco a poco decisamente meno feroci dei servitori dello stato, soprattutto meno feroci di una delinquente spietata che è la vicepresidente degli Stati Uniti, al servizio di sanguinarie imprese finanziarie.

Da questo modo di immaginarci le alte cariche dello stato – tra l’altro democratico – noi siamo ancora lontanissimi. Eppure abbiamo una storia repubblicana dove, anche stando a quel poco che ci hanno fatto sapere, le brutture non mancano e hanno una discreta continuità. Ma è prevalsa l’idea che ogni volta si è trattato soltanto di piccole deviazioni da una norma solidissima. Sicché, anche se le nostre vite di cittadini scorrono tra scontentezze di ogni tipo, viviamo con il sentimento che la legalità regge e tutto è sotto controllo. Probabilmente è per questo che non abbiamo ancora visto in tv una storia dove il pericolo pubblico numero uno è il presidente del consiglio, il vicepresidente o il presidente della repubblica.

Questa rubrica è stata pubblicata il 27 ottobre 2017 a pagina 16 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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