Di Maio dice a noi poveri cittadini disorientati: “Un giorno ci accusate di essere un governo di destra e un altro giorno di essere un governo di sinistra. Ma noi non siamo né l’una cosa né l’altra. Facciamo solo quello che è necessario”. Può darsi. Ma nel decreto “dignità” ci sono un bel po’ di cose che così di sinistra ce le eravamo dimenticate; e nel modo di affrontare la questione migranti ci sono un bel po’ di cose che così di destra non si possono tollerare. Insomma è difficile considerarle semplicemente scelte politiche necessarie. Hanno una tradizione con annesso formulario, e non si tratta della stessa tradizione né dello stesso formulario.
Questo governo mostra nei fatti non la fine della distinzione destra/sinistra ma la caduta della barra che le separa. La destrinistra, la sinisdestra stanno provando a diventare realmente governo del paese. Naturalmente hanno bisogno di collanti verbali per tenersi insieme, sono troppo divergenti. Ma che ci vuole a elaborarli? Bastano frasi così: “Eliminare il precariato significa tornare a dar figli alla patria, significa ridiventare uomini veri, non fiaccati dalla provvisorietà e dagli psicofarmaci”. Queste colle saranno sufficienti per governare nei prossimi trent’anni, oggi un po’ più a sinistra, domani assai più a destra? O, com’è probabile, si spaccherà tutto e il trentennio promesso da Salvini sarà di stradestra?
Questa rubrica è uscita il 20 luglio 2018 nel numero 1265 di Internazionale, a pagina 12. Compra questo numero | Abbonati
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