Il dibattito era morto da anni. In Italia solo i radicali rilanciano ogni tanto la proposta di legalizzare le droghe leggere. Finalmente l’argomento che riguarda milioni di persone, sopratutto giovani, e che costituisce dunque una questione sociale e di sanità pubblica, prima ancora che di polizia, è stato rilanciato in Europa da Spagna, Francia e Italia.
A Parigi, è stata la nuova ministra verde Cécile Duflot a porre rumorosamente il problema all’inizio di giugno, pochi giorni prima delle elezioni legislative, dichiarando: “Bisogna considerare la cannabis come il tabacco o l’alcol”. Finora il presidente socialista François Hollande e il suo ministro dell’interno Manuel Valls hanno respinto categoricamente qualsiasi eventuale depenalizzazione. Ma almeno è stata aperta una breccia nel muro dell’ipocrisia, dell’impotenza e dell’ideologia repressiva.
In Italia, ancora una volta, è stato Roberto Saviano ad avere il coraggio di scrivere
nella sua rubrica settimanale sull’Espresso perché converrebbe legalizzare la marijuana. Ha ricordato che una produzione regolamentata e inquadrata dallo stato alimenterebbe le casse pubbliche e contemporaneamente permetterebbe la “sottrazione di guadagni e del mercato della marijuana alle organizzazioni criminali”.
È una posizione ormai sostenuta in vari stati del Sudamerica e dell’America Centrale, che devono constatare il fallimento delle politiche di contrasto ai clan. Ex generale ed ex responsabile dei servizi segreti, il presidente conservatore del Guatemala Otto Pérez Molina si è dichiarato favorevole a una legalizzazione e a un controllo della produzione che darebbe lavoro legale a migliaia di contadini.
Finché esisterà domanda di un certo prodotto, le politiche repressive sono destinate a fallire. Per questo, nel 1933, gli Stati Uniti decisero di mettere fine al divieto di vendere alcolici, il cui unico risultato era stato di arricchire Al Capone e i suoi compari.
In Francia i consumatori di droga sono oggi quattro milioni. Quasi il 40 per cento dei ragazzi di 15-16 anni ha già provato la marijuana. Non si tratta dunque di un fenomeno marginale. Anche l’ex ministro dell’interno socialista Daniel Vaillant si è convertito all’idea che la legalizzazione stroncherebbe il mercato nero e i traffici che avvelenano la vita nei quartieri di periferia. Si è calcolato che una depenalizzazione del consumo di cannabis permetterebbe allo stato francese di guadagnare quasi un miliardo di euro all’anno tra alleggerimento delle procedure di polizia e di giustizia ed eventuali tasse percepite sulle vendite legali. Questi introiti permetterebbero di svolgere un importante lavoro di educazione e di prevenzione.
A parte l’idea che il consumo di droghe leggere porti all’uso di droghe pesanti (un’ipotesi che non è dimostrata da nessuna inchiesta seria), l’argomento più valido avanzato dagli avversari della legalizzazione è il timore che possa aumentare il numero di consumatori. Tuttavia, uno dei pochi dati a disposizione finora sembra dimostrare il contrario: nei Paesi Bassi, dove è già stata sperimentata la legalizzazione, il consumo di marijuana è, in proporzione, due volte inferiore a quello della Francia.
La liberalizzazione delle droghe non è certo una soluzione ottima. Ma la via della repressione com’è proposta oggi è di sicuro sbagliata. Ha fallito su quasi tutti fronti. A questo punto, una via ragionevole e pragmatica potrebbe essere quella di una prova temporanea e deideologizzata della legalizzazione che duri, per esempio, cinque o dieci anni. Dopodiché si potrebbero valutare i risultati su tutti fronti (sanitario, penale, economico) e decidere quale strada sia davvero la migliore.
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