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L’Europa non deve lasciare l’Austria all’estrema destra

Manifesti elettorali del candidato Norbert Hofer, candidato del Partito della libertà austriaco (Fpö) a Nickelsdorf, in Austria, il 3 maggio 2016. (Leonhard Foeger, Reuters/Contrasto)

Il 22 maggio si vota in Austria. Uscito in testa al primo turno con il 35 per cento dei voti, Norbert Hofer – candidato del Partito della libertà austriaco (Fpö), fondato nel 1955 da ex nazisti – parte favorito. I due grandi partiti che hanno dominato la scena politica austriaca dalla fine della seconda guerra mondiale, i socialdemocratici dell’Spö e i conservatori-cristiani del Partito popolare (Övp), usciti dal primo turno con le ossa rotte, non hanno invocato la nascita di un grande “fronte repubblicano” per fermare l’avanzata nazionalista.

Se si escludono alcuni leader – come il nuovo cancelliere Christian Kern, dell’Spö – che hanno pubblicamente dichiarato a titolo personale che voteranno per il candidato verde Alexander Van der Bellen, non c’e stata una mobilitazione per impedire il ritorno a Vienna, settant’anni dopo il crollo del reich, dei fantasmi del passato. L’Spö e l’Övp preferiscono non prendere posizione immaginando di dover governare in futuro in coalizione con i nazionalisti (come hanno già fatto a livello locale).

E nemmeno i cittadini europei si sono mobilitati, eppure l’esito del voto in Austria riguarda anche loro

Ma né il Partito popolare europeo né i socialdemocratici europei hanno fatto sentire la loro voce. Né Matteo Renzi né François Hollande né David Cameron o Angela Merkel. Nessuno dei leader dei paesi dell’Unione ha manifestato preoccupazione e sostegno ai democratici austriaci (con l’eccezione importante di Jean-Claude Juncker).

E nemmeno i cittadini europei si sono mobilitati, anche se l’esito del voto in Austria riguarda anche loro: i parigini delle Notti in piedi, gli Indignados spagnoli, la maggiore parte degli intellettuali europei. Si dirà che l’Fpö non può essere paragonato al Partito nazionalsocialista. Che la violenza fisica e la paura non sono al centro della pratica politica del leader del partito, Heinz-Christian Strache. Però come non considerare simbolicamente un suicidio un’Europa che lascia, indifferente, che la patria di Sigmund Freud, di Stefan Zweig, di Arnold Schönberg ricada tra le braccia dell’estrema destra?

Ingerenza e silenzio

Si sente spesso dire che un intervento esterno sarebbe controproducente, sarebbe percepito come un’intollerabile ingerenza negli affari interni dell’Austria che andrebbe a favore dell’estrema destra. Sembra di rileggere argomentazioni degli anni trenta. Intanto, gli xenofobi di tutta Europa, da Matteo Salvini a Geert Wilders e Marine Le Pen non si fanno scrupolo a sostenere il candidato dell’Fpö. Perché loro sanno chiaramente ciò che vogliono: il ritorno al passato, una tribalizzazione a livello nazionale. Hanno capito che una vittoria dell’estrema destra in Austria rischia di rendere più difficile e addirittura di impedire a Bruxelles di prendere delle decisioni su qualunque tema (dai migranti alle relazioni internazionali).

Invece, ancora una volta, i leader socialdemocratici, che pure avrebbero dovuto vedere nella costruzione europea una forma moderna del vecchio internazionalismo dei popoli, sono rimasti prudentemente dentro i loro confini. Ed è per questo che continuano un po’ dappertutto, elezione dopo elezione, a perdere terreno. Continuano a pensare all’Austria come a un paese straniero e non come a una provincia di un’Europa comune.

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