Quando si vede la qualità dei film d’autore presentati nei grandi festival come Cannes e la sempre maggior pochezza creativa delle super-produzioni hollywoodiane, come i film di Luhrman, sorta di cheeseburger di Mc’Donalds confezionati con la lacca dell’estetica da video-clip (nel 1994, al momento dell’uscita di Natural born killers di Oliver Stone i Cahiers du Cinéma titolarono in copertina “I killer dell’immagine”, e infatti il film di Stone all’epoca disse tutto quel che ora è la regola: l’avvento di un blob iconico indistinto), allora si capisce l’importanza del caso francese.

Qui molti dei film d’autore presentati nei festival escono, mentre da noi la percentuale è bassa. E l’ampia copertura giornalistica di quotidiani come Le Monde e Libération, contrariamente ai nostri quotidiani, permette anche al film messicano, tailandese, rumeno, estone o indiano di trovare il suo spazio, più meno grande, anche perché spesso inseriti in apertura della sezione cultura (un piccolo film italiano come La bocca del lupo di Pietro Marcello ebbe l’apertura di Le Monde e Libération lo presentò come secondo film del supplemento cinema della settimana ma parlandone come un possibile film simbolo di rinascita dello stantio cinema italiano). Senza contare la stampa culturale settimanale, come Télérama (circa 650mila-700mila copie di vendita) o Les Inrockuptibles. Ma molti altri paesi europei sono messi meglio di noi in termini di critica cinematografica.

L’incontro a Roma a piazza di Pietra “Save the date”, con i candidati sindaci – dei quali, incredibilmente, mancava il candidato dei 5 stelle De Vito – organizzato tra gli altri da Anica, Agis, Anec Lazio e camera di commercio di Roma e moderato dall’attore Michele La Ginestra – si è svolto in un clima un po’ da dopoguerra. E se Ignazio Marino, ma anche Alfio Marchini e Sandro Medici, hanno fatto buona figura, Gianni Alemanno, anche tenendo conto delle difficoltà originate dalla crisi economica e dai tagli nazionali alla cultura, è parso il sindaco di una cittadina di provincia, incapace di fare un discorso d’insieme e di rapportarsi alle altre grandi metropoli europee.

Una delle prime iniziative con cui storicamente debutta l’estate romana è Cannes a Roma, rassegna che permette di scoprire oltre ai film di prossima distribuzione in Italia in lingua originale, diversi titoli che non usciranno. La rassegna quest’anno si farà solo grazie ai mezzi (volenterosi) dei privati.

E se consideriamo che i titoli provenienti dalle sezioni

Quinzaine des réalisateurs e Un certain regard, cioè le sezioni dalla quale provengono le scoperte, ormai latitavano abbastanza negli ultimi tempi in questa rassegna, abbiamo un’idea di come sia disastroso il fatto che quest’anno non ci siano aiuti dal comune. Ma è l’insieme dell’informazione che contribuisce a fare dell’Italia, e della capitale, una provincia triste. Sprofondiamo nel provincialismo rimanendo così ai margini di ogni cosa, come ha sottolineato con forza Sandro Medici. E questo è grave per l’Italia intera, perché dappertutto la capitale è motore e vetrina di un paese. In quest’ottica è anche il pubblico romano a dover superare un atavica pigrizia verso la scoperta della cultura contemporanea, ancora troppo convinto che la cultura sia solo quella dei musei o delle grandi esposizioni.

Il tutto in un contesto difficile per l’insieme delle iniziative culturali: mentre Cannes prendeva inizio, al Teatro de’ Servi si svolgeva l’incontro “L’estate romana sta morendo”, organizzato da Agis e Anec Lazio. E voglio ricordare che fuori dall’incontro con i candidati sindaci, i sindacati dei lavoratori delle sale cinematografiche, altro elemento essenziale nella catena della produzione e fruizione cinematografica (e della diversità dell’offerta), altrove ben protetta, distribuivano volantini di protesta e denuncia verso una sorta di speculazione finanziaria e immobiliare che attanaglia il futuro degli esercenti romani e chiedendo di salvare la multisala Adriano sul punto di chiudere come già hanno fatto nel 2012 e 2013 altre sale dell’ex “impero” Cecchi Gori: la Sala Troisi, l’Embassy, il Roma. E si profilerebbe uno stesso destino per sale come l’Admiral, il Gregory, il Maestoso. Come è possibile pensare a un grande paese, e fare di Roma una capitale culturale europea, se il cinema riceve questo trattamento?

Ricordiamoci allora che lo strano ibrido inventato dai francesi, più o meno copiato da tutti, di un festival del cinema d’autore racchiuso dal cavallo di Troia di una specie di notte degli Oscar americana, in Francia funziona perché è l’intero sistema che lo supporta: politica, business, tv, stampa d’opinione e culturale che mette in avanti il cinema d’autore. In Italia le cose sono esattamente alla rovescia.

Per informarsi meglio sulle richieste degli operatori culturali romani ai candidati sindaci di Roma:

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Per capire meglio la situazione dei cinema romani e firmare la petizione contro la loro chiusura si può andare qui.

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