Il direttore di un festival che, la sera della premiazione ufficiale, fa salire sul palco un folto gruppo di manifestanti che protestano contro il governo lasciandoli parlare a lungo, è un’immagine impensabile in qualsiasi festival di settore italiano e forse anche in Francia, se si pensa all’ufficialità di Cannes.
Eppure è accaduto la sera del 1 febbraio al festival internazionale del fumetto di Angoulême quando, al momento di comunicare il palmarès delle varie giurie, quella della selezione principale e quelle delle sezioni minori, il direttore artistico ha fatto salire sul palco i manifestanti. Questa importante mobilitazione nel paese europeo con la più grande industria del fumetto ha suscitato non poca eco sui mezzi d’informazione francesi.
Come è d’obbligo passiamo ad alcune considerazioni sui premi assegnati in occasione della 47ª edizione del più importante festival europeo dedicato solo al fumetto (quello di Lucca, per esempio, è infatti dedicato anche ai videogiochi, come indica la sua denominazione Lucca Comics & Games). Non casuale, ovviamente, perché i due aspetti, alta produzione e tipologia di festival, sono speculari.
Poca presenza italiana
Già da qualche anno il giovane direttore artistico Stéphane Beaujean ha innovato su vari aspetti in seguito alle polemiche di alcuni anni fa riguardo all’insufficiente attenzione riservata alle donne. Attenzione molto migliorata a tutti i livelli, compresa la selezione dei titoli che, in linea più generale, guarda da vicino alle tendenze e alle produzioni più innovative del fumetto francofono e internazionale. Al riguardo c’è da fare un solo vero appunto. L’insufficiente attenzione, a nostro avviso, ancora riservata nella selezione alla produzione del fumetto d’autore italiano. Quest’ultimo è tra i migliori al mondo: legge in maniera forte e originale quanto accade in Italia e nel mondo contemporaneo facendo spesso molto meglio di altri mezzi d’espressione, cinema compreso.
In Révolution–Liberté, vincitore del Fauve d’or, la storia del terzo stato coabita con quella dei più agiati per costruire insieme la Storia
Non apprezziamo una certa tendenza italiana a lamentarsi sistematicamente, spesso sinonimo del più basso provincialismo, ma è vero che qui i nostri autori sono tra coloro che sanno meglio coniugare la sperimentazione, ibridando elementi dai mezzi d’espressione più disparati, con un’interrogazione penetrante sulle questioni più gravi a cui è confrontato il mondo contemporaneo. Ma qualcosa si muove, e quest’anno è stato selezionato un capolavoro come Atto di Dio di Giacomo Nanni, uscito da noi la primavera scorsa con postfazione di Gipi (riproposta anche nell’edizione francese).
Insieme al bel libro L’estate scorsa di Paolo Cattaneo, proprio Atto di Dio è stato l’unico altro titolo di autore italiano selezionato. Ed è stato premiato dalla giuria con il Fauve de l’audace. Anche se la produzione italiana è di altissima qualità e meriterebbe di più, è vero che, come premio minore rispetto ai due più importanti, il Fauve de l’audace è forse il migliore, perché quella di Nanni è effettivamente un’opera molto audace, in quanto riesce a essere allo stesso tempo sperimentale – nel trattare temi alti – e molto diretta. Forse, però, la giuria poteva essere anche lei più audace e premiare Atto di Dio con il massimo riconoscimento, il Fauve d’or.
Rivoluzione e contemporaneità
Nondimeno, tutte le opere premiate sono di alto livello. Tra queste, anche quella che ha vinto il Fauve d’or, cioè il primo volume di Révolution–Liberté, dovuto a due giovani autori francesi, Florent Grouazel e Younn Locard, entrambi sia sceneggiatori sia disegnatori, fatto raro.
Giovani ma probi, come si sarebbe detto un tempo, perché questo gigantesco affresco dedicato a una rivoluzione come quella francese, che ha dato diritti a tutti affermando una nuova visione dell’uomo e dei rapporti con il potere, ha richiesto per la prima parte – di ben 336 pagine – cinque anni di lavoro. Suddivisa su tre volumi per un totale di mille pagine, molto documentata, appassionante, qui la piccola storia, quella della persona più povera o dei membri più ai margini del terzo stato, coabita con quella dei più agiati e colti per costruire insieme la Storia, con la S maiuscola. Il lavoro grafico-visivo è raffinato, e il tratto, vivo e preciso, e sembra dare nuova vita a certa iconografia dell’epoca a cui s’ispira.
Un’attualizzazione che se non reinventa o trasfigura, dimostra però di essere sensibile, ispirata. E se un’opera come quella di Nanni è infinitamente più sperimentale e innovativa, dagli accostamenti multipli e inattesi, bisogna però riconoscere che il premio assegnato dalla giuria sembra aver guardato con intelligenza alla situazione francese in particolare e internazionale in generale, sempre più incandescente sulla questione dei diritti, quelli sociali come quelli più elementari. Il libro stesso, d’altra parte, lancia delle strizzatine d’occhio alla contemporaneità, visibili ma discrete, al fine di non alterare la credibilità storica della ricostruzione e la veridicità delle atmosfere. E sembra aver voluto aiutare un titolo del genere anche sul piano finanziario che, se ha dietro il prestigioso editore letterario Actes Sud che da dieci anni investe sul fumetto con due collane di alto livello, è nondimeno di difficile, complessa e costosa produzione.
La potenza del minimalismo
Il secondo premio, il Fauve speciale della giuria, è andato al graphic novel Clyde Fans del canadese Seth, che Internazionale ha nominato miglior graphic novel dell’anno (Coconino press l’editore italiano). Questo è un libro al quale si sarebbe potuto assegnare sia il Fauve d’or, tale è l’importanza dell’opera come dell’autore, sia il Grand prix che è assegnato ogni anno prima dell’inizio del festival dai suoi pari a un maestro del fumetto francofono o straniero, riconoscimento alla carriera che comporta, anche se non sempre, oltre a una grande mostra di consacrazione una sorta di co-direzione artistica con il festival.
Seth ha impiegato anni per realizzare quest’opera minimalista ma di grande potenza e profondità introspettiva sulla condizione umana, ambientata nel Canada inglese e che si snoda su vari decenni. Un’opera che incanta oltre a far riflettere malgrado l’apparente prosaicità di un racconto incentrato sulle banali fenomenologie della vita quotidiana, perché quello di Seth è un viaggio interiore avvolto in un manto di malinconia impregnato di vera poesia. Con questo racconto di oltre cinquecento pagine, crudele e umano insieme su due fratelli specularmente opposti, Seth è definitivamente un candidato per il Grand Prix.
Per Tsuge la condizione umana è intrinsecamente tragica e la speranza effimera come un arcobaleno
Davvero nulla da dire invece sul Fauve d’onore assegnato a uno dei massimi maestri del manga, Yoshiharu Tsuge. Dopo una vita passata ai margini prima rifiutando il successo, incapace, come dice egli stesso, di capire e realizzare manga dedicati al divertimento, refrattario a farsi tradurre, vivendo spesso di stenti e per un certo periodo su una barca, Tsuge ha rivoluzionato sotto numerosi aspetti il fumetto tout-court, non solo quello giapponese. L’autobiografia e la dimensione intima che il Giappone è stato il primo al mondo a esplorare, Tsuge ha saputo portarli ai massimi livelli. Per questo autore umile la condizione umana è intrinsecamente tragica e la speranza effimera come un arcobaleno. Ha quindi sorpreso tutti il suo desiderio di voler essere al festival, a oltre ottant’anni, per presenziare all’inaugurazione della prima grande mostra a lui consacrata, almeno qui in Europa. In questi anni alcuni editori europei, prima di tutto in Italia Igort per Oblomov e Edo Chieregato per Canicola, sono riusciti a portare gran parte della sua opera, a cui si sono poi velocemente aggiunti gli editori francesi. Corretti tutti gli altri Fauve.
Il Grand Prix alla carriera, se l’anno scorso era stato attribuito a un’autrice giapponese dagli enormi successi commerciali mondiali, come Rumiko Takahashi, creatrice di Lamù e Ranma ½, quest’anno è andato a un uomo, un francese e stella del fumetto d’autore, Emmanuel Guibert. Con Guibert l’opera, nobilmente umanistica, si confonde con l’autore. Malgrado racconti spesso biografie altrui, riesce a entrare in tale empatia con chi ha lasciato la testimonianza da assurgere a una sorta di osmosi spirituale con persone che ha conosciuto ma che non ci sono più. Come in Il fotografo, che racconta i lunghi anni di reportage dall’Afghanistan invaso dai sovietici dell’amico fotoreporter Didier Lefèvre, o come in La guerra di Alan, dove trasfigura il diario tenuto durante la seconda guerra mondiale da un amico poeta conosciuto tardivamente. Il lavoro grafico e narrativo di Guibert è ormai di una tale profondità da far sì che malgrado non sia certo anziano, ma nemmeno giovanissimo, il Grand Prix fosse ampiamente meritato.
Mostre innovative
Infine, qualche riga sulle mostre. Sempre più imperdibili e innovative come i relativi giganteschi cataloghi, che consigliamo per la cura grafico-editoriale e per i contenuti storico-critici. Se la mostra dedicata a Tsuge permette di cogliere appieno il rigore e la forza espressiva di questo autore ormai di culto, non è da meno quella dedicata al francese Calvo, con le sue storie incredibilmente potenti e surreali dove tutto è antropomorfo se non animista, dove si distinguono i due capolavori La bête est morte e Rosalie. Ancora oggi i due volumi, giganteschi e coloratissimi, sono regolarmente ristampati da Gallimard. Due opere allegoriche, in particolare la prima, veemente attacco al nazifascismo pubblicato quando metà della Francia era ancora occupata, che osservate grazie alle tavole originali permettono di cogliere tutta la forza espressiva e sperimentale dell’autore.
La mostra dedicata al grande sceneggiatore di fumetti Pierre Christin, per anni professore di giornalismo, permette di ripercorrere appieno la coerenza e la preveggenza di un percorso compiuto insieme a grandi disegnatori, primo tra tutti Bilal, con il quale ha firmato opere come Le Falangi dell’ordine nero, che precorre il ritorno dei demoni mai sopiti del nazionalismo e dell’estrema destra, o Battuta di caccia, che anticipa la dissoluzione dell’Urss e del blocco sovietico.
Christin, ibridando genialmente i generi, annullando i confini tra finzione e giornalismo in innumerevoli opere, ha anche trattato prima degli altri, negli anni novanta, la questione dei migranti come vicenda dominante in quello che appariva allora un prossimo futuro.
Infine, la mostra dedicata a uno dei disegnatori del fumetto di genere statunitense più rivoluzionari e sfortunati nella vita, Wallace Wood. Negli anni cinquanta e sessanta realizzò opere anarchiche quando non furiosamente contestatrici, sempre in lotta con il sistema editoriale e la censura politica che lo portarono progressivamente all’infelicità esistenziale malgrado le aperture che gli vennero dal fumetto underground. Le tavole originali mostrano tutto il suo virtuosismo e la sua creatività, il grado di sperimentazione di cui il fumetto popolare per lungo tempo è stato capace, al contrario di quello di oggi, in gran parte un fumetto di marketing. Queste mostre, come anche altre qui non citate, durano a lungo e ne consigliamo vivamente la visione perché non capiteranno facilmente occasioni analoghe.
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