×

Fornisci il consenso ai cookie

Internazionale usa i cookie per mostrare alcuni contenuti esterni e proporti pubblicità in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più o negare il consenso, consulta questa pagina.

I compagni di strada di papa Francesco

Papa Francesco durante la sua visita a Torino, il 21 giugno 2015. (Alessandro Garofalo, Reuters/Contrasto)

Qualcosa è successo: l’enciclica del papa su ambiente e sviluppo – Laudato si’ – ha aperto un dibattito globale; la chiesa ha trovato alleati fino a poco tempo fa impensabili come Edgar Morin, uno dei maggiori intellettuali del vecchio continente, o la scrittrice no global Naomi Klein che nei prossimi giorni sarà in Vaticano; un vasto arco di organizzazioni ambientaliste ha appoggiato e ringraziato papa Francesco per aver dato voce, e una leadership finalmente riconoscibile e forte, alle ragioni dell’allarme per il cambiamento climatico e per aver fatto dell’ecologia un tema non eludibile delle agende politiche internazionali.

Anche il mondo scientifico, con cui la Santa sede aveva costruito nei mesi scorsi una solida alleanza (valga per tutti il nome di Veerabhadran Ramanathan, uno dei massimi studiosi del cambiamento climatico che collabora con la Pontificia accademia delle scienze sociali), ha espresso il suo riconoscimento al vescovo di Roma per aver accolto e fatto proprie – inserendole in una visione umanistica e spirituale – alcune delle acquisizioni maggiormente condivise nel campo della ricerca sugli squilibri ambientali causati dagli esseri umani. Sul fronte opposto incontriamo uno schieramento che va dalla destra religiosa alla lobby dell’industria estrattiva, dai teorici del neoliberismo ai candidati repubblicani alla Casa Bianca, tra cui Jeb Bush.

Non è marxismo ma nuova civilizzazione

I gesuiti nel frattempo hanno deciso di accompagnare l’enciclica con un’azione di promozione e divulgazione, oltre che di replica serrata alle critiche. L’operazione è stata affidata alla Civiltà Cattolica, l’autorevole rivista della Compagnia di Gesù il cui ruolo è ulteriormente cresciuto da quando al soglio di Pietro è stato eletto un gesuita.

A padre Luciano Larivera, esperto di economia della Civiltà Cattolica, è toccato il compito di spiegare e rintuzzare. “L’enciclica carica di significato esistenziale l’esperienza del lavoro”, scrive il religioso nel numero appena uscito. “Attacca l’alleanza potere-tecnica-finanza. Dipinge una sorta di nuovo ‘proletariato’ parlando delle vittime del lavoro schiavista e della tratta dei migranti. Dunque sollecita all’esproprio proletario? L’ideale di Francesco è una trasfigurazione della ‘post-dittatura del proletariato’ di Karl Marx? Abbiamo visto persino indizi di quel che potremmo definire un crescendo paranoico di domande inquisitorie su questa enciclica”. Il crescendo sarà pure paranoico, ma un papa che descrive la categoria sociale del “nuovo proletariato” globale deve aver fatto una certa impressione, senza contare quell’insistere sulla riduzione dei consumi e sui nuovi stili di vita che di sicuro non fa piacere agli ideologi dell’ultraliberismo.

Una delle novità di fondo di Laudato si’ è quella di aver collegato inscindibilmente questione ambientale e sfruttamento, ecosistemi e povertà, ambiente e democrazia

“Questa enciclica”, spiega Civiltà Cattolica, “detiene il primato di essere criticata prima ancora di essere stata letta, specialmente da coloro che ritengono pericoloso per i propri interessi che un papa si occupi di tematiche ambientali”. A sostegno di Bergoglio è intervenuto invece Edgar Morin, il teorico della complessità, che sul quotidiano francese La Croix ha affermato: “In Europa abbiamo completamente dimenticato i poveri, li abbiamo marginalizzati, ma nell’enciclica il concetto di povertà è vivo, come nelle manifestazioni delle organizzazioni popolari o dei contadini senza terra in Brasile”. Quindi ha aggiunto: “È un papa impregnato di questa cultura andina che oppone al benessere esclusivamente materialista il buen vivir che è fioritura personale e comunitaria autentica. Il messaggio del pontefice è un appello al cambiamento, a una nuova civilizzazione, e su questo sono molto sensibile”.

Anche Naomi Klein, una delle voci critiche del capitalismo finanziario più note a livello globale, si appresta a dire la sua in Vaticano, mentre le numerose coalizioni ambientaliste, cattoliche, laiche e di ogni orientamento passano in questi giorni per piazza San Pietro preparandosi all’appuntamento di Parigi del prossimo dicembre quando nella capitale francese si terrà la conferenza mondiale sul clima. E d’altro canto se in alcuni ambienti si parla di un’estinzione di massa prossima ventura, almeno in parte causata dai danni che provochiamo all’ecosistema, una delle novità di fondo di Laudato si’ è quella di aver collegato inscindibilmente questione ambientale e sfruttamento, ecosistemi e povertà, ambiente e democrazia. È la cosiddetta “ecologia integrale”, che ora sta facendo breccia anche nelle file dei leader ambientalisti.

Siamo in troppi, l’enciclica rompe un altro tabù

È in questo contesto che la Civiltà Cattolica tocca un tema da sempre delicato e fonte di divisone tra laici e credenti: ovvero quello della sovrappopolazione del pianeta. Qualcosa aveva già fatto capire papa Francesco durante il viaggio nelle Filippine del febbraio scorso, quando spiegò che essere cattolici non significa dover “fare figli come conigli”, che esiste insomma una procreazione responsabile, il riferimento era diretto in particolare ai paesi più poveri.

In merito alla questione la Civiltà Cattolica afferma: “L’andamento numerico della popolazione, secondo l’enciclica, deve essere l’effetto congiunto sia di libere scelte per una paternità e una maternità responsabili, secondo la dottrina della chiesa, sia di politiche di sviluppo umano inclusivo”. “È evidente che la fecondità femminile cala quando si permette alle bambine di studiare fino alle scuole secondarie e terziarie (e in ambienti protetti da abusi sessuali), quando si impediscono i matrimoni precoci, quando le donne non sono sottoposte al dispotismo violento dei mariti, quando possono accedere al mondo del lavoro e non essere confinate in casa”, scrive ancora padre Larivera. “Se la cura e l’educazione sanitaria si diffondono e se il rispetto del corpo della donna e la promozione del suo ruolo sociale e politico diventano cultura dominante, allora non soltanto ci saranno meno gravidanze indesiderate, ma pure meno ansie di generare figli per timore che quelli già messi al mondo muoiano precocemente (o perché con pochi figli la propria dignità maschile o femminile viene svilita)”.

Tra l’altro, sembrano molto lontane da questo approccio le parole pronunciate da Kiko Arguello durante il Family day di Roma, quando in un certo modo il leader dei neocatecumenali aveva stabilito un rapporto causa-effetto tra donne che lasciavano i mariti e violenze commesse dai mariti sulle mogli (cercando di dare una sorta di giustificazione sociale al fenomeno dei femminicidi).

In ogni caso, si afferma ancora, “se il mondo rurale viene aiutato a svilupparsi in modo sostenibile, ‘avere figli’ non sarà più un modo per avere forza lavoro. E la natalità crescerà in modo tale che si potranno mettere al mondo bambini non destinati alla miseria. Perché l’eccesso di natalità dei poveri nell’Africa subsahariana, o nell’Asia centrale e meridionale, deriva dalla loro emarginazione educativa, sociale ed economica. Quando questa è abbattuta, allora ‘naturalmente’ i genitori fanno scelte di generazione che permettano di dare ai figli prospettive di benessere”.

Non si parla dunque di pianificazione del controllo delle nascite, ma si compie forse un passo in avanti che vale per tutti. La strada indicata è quella di mettere mano alle ragioni di fondo del problema: il rapporto tra risorse disponibili e popolazione si può affrontare, secondo tale visione, affrontando una serie di questioni tra loro collegate: giustizia sociale, istruzione, emancipazione delle donne, qualità della vita.

pubblicità