Avete ordinato le pizze? Stasera alle nove tocca all’Italia. Se Angelo Obinze Ogbonna o Stephan el Shaarawy vi suonano estroversi rispetto all’onomastica di casa nostra è proprio perché i giocatori di origini straniere hanno da tempo trovato nel mondo del calcio europeo un collocamento, spesso più pronunciati che in altri settori. Agli Europei di Francia oltre un quarto dei calciatori sono migranti, oriundi o figli di migranti: e non si può dire che il mondo della politica, tanto per fare un esempio, o dell’economia, ma neanche quello della scienza, dell’arte e della cultura siano altrettanto aperti o tolleranti verso lo straniero.
Tra gli azzurri, oltre ai citati Ogbonna (nato a Cassino da genitori nigeriani) ed El Shaarawy (nato a Savona da padre egiziano), ci stanno Eder e Thiago Motta, nati in Brasile ma naturalizzati per discendenza: tutt’e due avevano bisnonni italiani. Insomma, se in Italia il dibattito generale sui migranti presta il fianco ad altolocate sciocchezze e sonori fascismi, i tifosi di calcio, anche quelli più ostili all’integrazione, hanno dovuto da tempo rassegnarsi: Brambilla e Proietti? Fuori. Giocano Eder ed El Shaarawy.
Il pachistano d’Austria
Il discorso non è nuovo, ma le sue proporzioni, a Euro 2016, meritano un commento. La nazionale francese quasi per metà presenta giocatori di nascita o famiglia africana, il Portogallo ha solo dieci giocatori su 23 nati in patria da genitori portoghesi, la Svizzera appena nove, e lo spogliatoio elvetico è affollato di turchi, kosovari, bosniaci, congolesi, camerunesi e via dicendo. Complessa pure la composizione della Germania campione del mondo, che ieri, contro l’Ucraina, è passata in vantaggio con un gol del difensore Shkodran Mustafi, di famiglia albanese proveniente dalla Macedonia. Non fa eccezione l’Austria, un paese che negli ultimi mesi abbiamo associato spesso al termine “xenofobia”, e che schiera ungheresi, nigeriani, serbi e tra gli altri Rubin Okotie, attaccante nato in Pakistan.
Stasera l’Italia dovrà vedersela con il Belgio, che a sua volta include nella rosa una decina di giocatori con nascita o ascendenza africana: più Radja Nainggolan, che gioca nella Roma e ha il papà indonesiano. Ora giratevi dall’altra parte dello schermo e riscrivete correttamente Nainggolan, provateci. Può capitare, eh, che le partite di calcio suscitino dibattiti sulla capacità dell’Europa o dell’Italia di accogliere migranti: se vi capita proprio stasera, e se volete, potete usare il classico argomento, cioè che anche gli italiani, negli anni, sono andati in massa in altri paesi: e ricordatevi in quel caso che nel Belgio ci sta Ciman, cognome e nonni veneti.
Il merito di ragazzi africani o pachistani o di altri paesi nello sport è riconosciuto con più prontezza
A proposito di Belgio: sulla carta è la squadra più forte di questo campionato, lo dice il ranking Fifa, cioè la classifica delle nazionali in base ai risultati degli ultimi quattro anni. L’Italia è dodicesima. Negli sport individuali, classifiche di questo tipo sono abbastanza spietate: è veramente raro che il centometrista numero dodici al mondo riesca a battere il numero due. Gli sport di squadra si prestano invece, di volta in volta, a un maggior numero di variabili, e il calcio tollera meno i ranking rispetto al tennis o all’atletica leggera.
Quindi ordinate pure la pizza. Ricordiamoci però che nello sport i numeri contano, vince chi segna più reti, chi salta più in alto, chi corre più veloce. Forse è per questo che il merito di ragazzi africani o pachistani o di altri paesi rispetto ai nostri viene riconosciuto con più prontezza nello sport che in altri luoghi (un consiglio d’amministrazione, per dire). Se El Shaarawy segna otto gol e Brambilla e Proietti zero è difficile escludere “il faraone”. Chi sceglie i dirigenti e i consiglieri d’amministrazione di un’azienda, pubblica o privata, non ha invece uno strumento numerico puntuale per identificare il più bravo. Brambilla, Proietti e monsieur Dupont possono stare tranquilli, per stasera, e godersi la partita.
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