Non c’è sfida calcistica più suggestiva, in Europa, che quella tra Germania e Italia, perlomeno in termini di numeri: queste due nazionali hanno vinto quattro coppe del mondo a testa su un totale di undici vinte da squadre europee, e quello di sabato a Bordeaux è forse il primo vero big match di blasone in questo torneo, fatta fuori la Spagna di Del Bosque che a quanto pare ha concluso il suo ardente ciclo.
In più si gioca di sabato sera: finché l’Italia si misura con Austria o Belgio in partite non decisive e a metà settimana, l’attenzione generale è ancora blanda. Quando si va avanti agli Europei pure i blogger più riluttanti al calcio cominciano a trovarsi circondati, e gli Azzurri di Conte, dopo la vittoria sugli spagnoli, hanno cominciato a trovare spazio e paragoni anche nelle pagine extra-sportive, nei dibattiti televisivi normalmente consacrati alla politica, nei tweet di personalità altrimenti distratte che improvvisamente si ricordano del calcio come catalizzatore delle masse.
Non mancano, ahinoi, i parallelismi tra Azzurri e governo italiano, tra Matteo Renzi e Conte, tanto più dopo che il nostro premier ha dovuto severamente confrontarsi con Angela Merkel e Germania a proposito di aiuti alle banche. L’ha spuntata Renzi, così dicono: “Ci vediamo sabato alle nove”, gli avrà mormorato la cancelliera tedesca proteggendo il labiale.
Germania-Italia for dummies, allora: per chi svogliatamente si sedesse su un divano sabato sera, a vedere per la prima volta in vita sua una partita di calcio, convinto dagli amici, ricordiamo che agli Europei e ai Mondiali l’Italia non ha mai perso con i tedeschi (quattro vittorie e quattro pareggi il bilancio), che se finisce pari si va avanti per altri trenta minuti, e se è ancora pari ci saranno i rigori (mai successo neanche questo tra le due nazionali). A proposito di rigori, giacché non è escluso che avvenga: tra Europei e Mondiali i tedeschi hanno vinto ai rigori cinque volte su sei, e non hanno mai perso negli ultimi quarant’anni; per l’Italia il bilancio è negativo: tre volte ha vinto e quattro volte ha perso. Facile parlare di rigore germanico.
Gli islandesi sono diventati una delle migliori otto squadre d’Europa e piccoli si nasce, ma non si può restare piccoli per sempre
Numeri a parte, forse più suggestiva è tuttavia la sfida di domenica: Francia-Islanda. I colossi francesi, padroni di casa, nel loro stadio nazionale da ottantamila posti, contro la piccola e coraggiosa squadra di vichinghi che ha appena fatto fuori l’Inghilterra, e che è diventata il vero e proprio caso di questo torneo.
Il richiamo a Davide contro Golia, al piccolo e astuto Pollicino che fa fuori il Golem di turno è già stato speso come jolly, e gli islandesi non possono più far troppo conto su quello: sono diventati una delle migliori otto squadre d’Europa e piccoli si nasce, ma non si può restare piccoli per sempre. C’è bisogno di qualche altro tema.
Per esempio, la scia vincente degli islandesi richiamerà almeno alla mente dei francesi l’epopea del Calais, squadretta di serie Z transalpina, fatta di impiegati, postini, pescatori e dopolavoristi, che nel 2000 arrivò a giocarsi, una partita dopo l’altra e proprio nello stesso stadio, la finale della Coppa di Francia. Purtroppo il Calais, quella volta, perse 2-1 con il Nantes, squadrone professionistico della prima divisione. Con tutta la Francia e tutto il mondo che aveva contezza di calcio (tranne forse alcuni nantesi) dalla sua parte.
In Islanda ormai anche il più riluttante dei blogger anticalcio è stato convertito alla passione per questo sport: lo ha spiegato bene su Libération lo scrittore islandese Eiríkur Örn Norddahl, quando gli hanno chiesto se l’eventuale coinvolgimento di Kolbein Sigthórsson (autore del gol decisivo contro l’Inghilterra) nello scandalo dei Panama papers potesse in qualche modo intaccare la passione dei suoi connazionali per la nazionale: “Non c’è niente che possa intaccare la passione per la nostra squadra”, ha risposto Norddahl. “A meno che Kolbein non abbia mangiato dei bambini vivi”.
E pensare che Sigthórsson è un calciatore proprio del Nantes. Gli toccherà riparare al danno che proprio la sua squadra di club fece nel 2000: scippare il lieto fine a una favola (con un dubbio rigore al novantesimo, per di più). A Calais ci abitano circa 300mila persone, poco meno dell’intera popolazione islandese: chissà che da quelle parti qualcuno decida che la squadretta vichinga si merita, se non un lieto fine, perlomeno una semifinale contro Italia o Germania, vedremo.
I più riluttanti blogger anticalcio potranno perdersi l’Italia, forse, ma l’Islanda no: non è più questione di calcio, questa è una faccenda narrativa.
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