Tronchi nel lago di Savonlinna, in Finlandia. (Christophe Boisvieux, Corbis)
“Qual è la fonte di energia rinnovabile più importante per l’Unione europea?”, si chiede l’Economist. Se pensate al sole o al vento siete fuori strada.
“Nelle sue varie forme, dalle stecche ai pellet alla segatura, il legno (o per usare un nome alla moda, la biomassa) copre metà del consumo di energia rinnovabile in Europa. In alcuni paesi, come la Polonia o la Finlandia, la quota sale oltre l’80 per cento. Dopo anni in cui i governi europei si vantavano della loro rivoluzione energetica ad alta tecnologia e a basse emissioni di carbonio, sembra che ad aver tratto il maggior beneficio sia stato il carburante preferito delle società preindustriali”.
“L’idea che il legno abbia un basso contenuto di carbonio può sembrare bizzarra”, prosegue l’Economist. I suoi promotori sostengono però che il carbonio emesso dalla combustione degli alberi viene ricatturato da quelli che crescono al loro posto, creando un ciclo a somma zero. L’argomentazione ha convinto la Commissione europea, che ha inserito il legno nella lista delle fonti rinnovabili, mettendo d’accordo ecologisti, compagnie elettriche e governi.
La conversione al legno o alla co-combustione ha salvato diverse vecchie centrali a carbone dalla chiusura e permette di avvicinarsi agli obiettivi di riduzione delle emissioni stabiliti dalla strategia Europa 2020 a un costo molto inferiore rispetto all’eolico o al solare. I ricchi sussidi alle energie rinnovabili rendono la torta ancora più appetibile. Non sorprende quindi che secondo alcune previsioni la domanda di pellet nell’Unione europea sia destinata a raddoppiare entro il 2020.
Qui cominciano i problemi. Il boom sta spingendo i prezzi del legno alle stelle, nonostante la crisi economica, aggravando le difficoltà di altri settori come i produttori di carta e di materiali da costruzione. Ma il peggio è che oltre una certa scala l’uso delle biomasse è dannoso per l’ambiente: ha senso se il legno proviene da foreste gestite in modo sostenibile, ma queste sono incapaci di soddisfare una domanda in forte crescita. Se invece si usano alberi interi, sostiene un ricercatore dell’università di Princeton, il vantaggio rispetto al carbone non si concretizzerà prima di un centinaio di anni, quando i nuovi alberi saranno completamente cresciuti. Bisogna poi considerare le emissioni generate dalla filiera produttiva, che comprende il trasporto e la riduzione in pellet.
Tutto questo vi ricorda qualcosa? Avete ragione: è lo stesso errore commesso con i biocarburanti, che avrebbero dovuto salvare il mondo dalle emissioni dei veicoli e hanno invece incentivato il disboscamento e gonfiato i prezzi dei generi alimentari con effetti disastrosi. La Commissione sta ora cercando di fare marcia indietro, incontrando però l’opposizione di diversi stati membri. Per evitare un altro imbarazzo, la politica dei sussidi alle biomasse dovrebbe essere rivista al più presto. Secondo l’Economist, il modo migliore di costruire un’economia più verde è imporre una carbon tax e lasciar fare il resto al mercato. Ma l’Europa potrebbe aver trovato una soluzione più efficace: la crisi economica, che nel 2012 ha abbattuto le emissioni di CO2 dell’1,4 per cento. Forse è per questo che nessuno sembra davvero volerla risolvere.
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