*Doha, Qatar, 2013. (Martin Parr, Magnum/Contrasto)

La sorte di Idris sembrava segnata fin da dicembre, quando le sue forze avevano subito un’imbarazzante sconfitta per mano del Fronte islamico, un gruppo armato creato dall’Arabia Saudita per egemonizzare gli islamisti che si battono contro il governo di Bashar Al Assad. Secondo il Washington Post dopo l’episodio Idris era stato costretto a evacuare il suo quartier generale e fuggire in Qatar, il paese che per primo aveva fornito appoggio finanziario, diplomatico e militare all’Esercito siriano libero.

Questa sostituzione sembra sancire il definitivo passaggio della guida dell’opposizione siriana dal Qatar all’Arabia Saudita. Secondo David Ignatius del Washington Post Riyadh, allarmata dalle recenti vittorie dell’esercito di Assad, ha deciso di passare al contrattacco. Ha strappato l’assenso degli Stati Uniti alla fornitura ai ribelli di armi tattiche come i sistemi antiaerei portatili e sta pianificando un’offensiva sul fronte meridionale con il coinvolgimento forzato della Giordania, finora piuttosto riluttante a esporsi. Prima di questa escalation i sauditi avevano bisogno di assicurarsi la lealtà assoluta dei vertici dell’opposizione.

L’eclissi del Qatar dalla scena geopolitica mediorientale ha sorpreso parecchi osservatori. La piccola monarchia del Golfo aveva svolto un ruolo fondamentale nella cosiddetta primavera araba del 2011, finanziando e coordinando le ribellioni in Tunisia, Egitto e Libia soprattutto attraverso le sezioni locali della Fratellanza musulmana, l’organizzazione politica islamista attiva in tutto il mondo arabo e in Turchia dal secondo dopoguerra. La famiglia reale del Qatar è stata il principale sponsor della Fratellanza musulmana fin dal 1995, quando l’emiro Khalifa bin Hamad al Thani era stato sostituito con un colpo di stato incruento dal figlio Hamad bin Khalifa.

Hamad e il suo gruppo di potere avevano impresso una svolta radicale alla politica dell’emirato, sviluppando le esportazioni di gas attraverso l’espansione delle infrastrutture per la liquefazione e imbarcandosi in una serie di iniziative mirate a renderlo politicamente indipendente dalle potenze regionali, prima fra tutte l’Arabia Saudita. I nuovi governanti avevano individuato nella Fratellanza musulmana un potente mezzo per proiettare influenza in tutto il mondo arabo, e avevano stabilito con essa un profondo rapporto operativo ospitando i suoi leader perseguitati nei paesi d’origine (tra cui l’Arabia Saudita) e offrendo loro posti chiave nelle università islamiche e in Al Jazeera, il network televisivo fondato nel 1996 come strumento di soft power panislamico.

Pensione anticipata Fino al 2013 questa strategia è stata un successo: il piccolo Qatar era diventato uno dei centri d’influenza più importanti al mondo e la Fratellanza musulmana era al potere in alcuni dei paesi chiave della regione mediorientale, come la Turchia e l’Egitto. Ma poi è arrivato il colpo di scena: il 25 giugno Hamad ha abdicato in favore del figlio trentatreenne Tamim bin Hamad bin Khalifa Al Thani. Da allora la politica regionale del Qatar ha subito un’impressionante serie di rovesci.

All’inizio di luglio, dopo una serie di manifestazioni di protesta contro il governo, l’esercito egiziano ha arrestato il premier Mohamed Morsi e instaurato un governo provvisorio, mettendo fuori legge la Fratellanza e uccidendo oltre mille dei suoi sostenitori nella repressione delle proteste contro il golpe. Il nuovo regime ha rotto i rapporti finanziari con Doha e ha ricevuto il sostegno politico e finanziario dell’Arabia Saudita.

La reazione della nuova leadership qatariota è stata sorprendentemente moderata, e le proteste formali sono arrivate solo quando il nuovo regime egiziano ha arrestato e messo sotto processo diversi giornalisti di Al Jazeera per “terrorismo”. Nel frattempo Riyadh ha strappato a Doha l’egemonia sull’opposizione siriana, e a dicembre in Turchia il governo di Recep Tayyip Erdoğan è stato colpito da un grave scandalo di corruzione e dalla rottura con il movimento di Fetullah Gülen, fino ad allora uno dei suoi più stretti alleati.

Perché il Qatar sembra aver accettato senza troppa resistenza il ridimensionamento delle sue ambizioni? Secondo la Bbc uno dei motivi principali è il bilancio: le ricchezze dell’emirato sono enormi, ma non infinite. Negli ultimi anni la Qatar foundation ha investito in istruzione, musei, squadre di calcio, progetti di sviluppo e acquisizione di terre, oltre ad aver finanziato movimenti politici e gruppi armati. L’organizzazione dei mondiali di calcio del 2022, in particolare, si sta rivelando un peso superiore al previsto: il progetto iniziale prevedeva 12 nuovi stadi, ma ora gli impianti dovrebbero essere limitati a otto. Nel 2015 il bilancio dell’emirato potrebbe per la prima volta chiudere in passivo.

Sui piani di Doha ha probabilmente pesato anche il rinvio a tempo indefinito della realizzazione del gasdotto che avrebbe dovuto collegare il giacimento North dome al Mediterraneo e al mercato europeo attraverso la Siria dopo l’instaurazione di un regime amico, aumentando sensibilmente esportazioni e profitti. Data la situazione sul campo, il progetto non sembra destinato a concretizzarsi per parecchi anni.

Ma secondo gli autori di un recente rapporto dell’European council on foreign relations, a suggerire maggiore prudenza alla famiglia reale sono state soprattutto considerazioni di ordine politico e strategico. Dal 2012 le potenze occidentali, fino ad allora in ottimi rapporti con il Qatar, hanno cominciato a essere allarmate dalla gestione della rivolta siriana, in particolare dall’ascesa dei jihadisti legati ad Al Qaeda e dallo scarso controllo del Consiglio nazionale siriano sui gruppi armati che formalmente ne fanno parte.

Vicini nervosi Inoltre il sostegno alla Fratellanza musulmana ha rovinato i rapporti di Doha con quasi tutti i governi della regione, che considerano l’organizzazione la principale minaccia alla loro stabilità interna. Oltre all’Arabia Saudita, alienata fin dalla svolta del 1995, ora tra i nemici del Qatar ci sono anche la Giordania e gli Emirati Arabi Uniti. Soprattutto dopo il golpe in Egitto e i problemi di Erdoğan, gli Al Thani devono aver cominciato a temere che i loro vicini potessero unire le forze per rovesciarli.

Il timore che la primavera araba possa attecchire anche sulle sponde del Golfo persico, infine, deve aver contagiato anche il Qatar, un paese che ha oltre due milioni di abitanti ma solo trecentomila nativi. La famiglia reale ha sostenuto la Fratellanza musulmana anche nella speranza di mettersi al riparo dal malcontento degli islamisti, ma negli ultimi anni l’occidentalizzazione e l’eccessivo attivismo mondano hano irritato i settori più tradizionali della società, e molte innovazioni, come l’adozione dell’inglese come lingua d’insegnamento nelle università, sono state revocate.

La staffetta tra Hamad e Tamim potrebbe insomma essere un modo per riconoscere tacitamente di aver giocato al di sopra delle proprie possibilità e per limitare i danni. Ma secondo gli autori del rapporto il Qatar, anche se con un profilo più basso, continuerà la sua strategia di sostegno alla Fratellanza musulmana e di indipendenza da Riyadh. Molto dipenderà dall’evoluzione dell’apparente disgelo tra Stati Uniti e Iran che tanto preoccupa l’Arabia Saudita. Prima del suo appoggio alla rivolta contro Assad il Qatar era uno dei pochi paesi sunniti ad avere buoni rapporti con Teheran, e un suo allontanamento dall’opposizione siriana potrebbe rimetterlo in gioco come interlocutore privilegiato della Repubblica islamica.

Gabriele Crescente (1980) collabora con Internazionale dal 2006. È su Twitter.

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