In Spagna per Pedro Sánchez il difficile comincia adesso
Alla fine Pedro Sánchez ce l’ha fatta. Diciannove mesi e due elezioni dopo la mozione di sfiducia con cui aveva preso il posto di Mariano Rajoy, il premier socialista è riuscito a ottenere l’avallo del congresso dei deputati alla sua investitura. Ma per lui la parte più difficile deve ancora cominciare.
L’investitura del 7 gennaio è stata storica perché ha dato vita al primo governo di coalizione dal ritorno della democrazia, sancendo ufficialmente la fine di uno degli ultimi sistemi bipartitici rimasti in Europa, ma anche perché è stata ottenuta con il margine più stretto di sempre: 167 sì contro 165 no. Oltre che dei voti di Unidas Podemos – ottenuti concedendo al partito di sinistra la partecipazione al governo che gli era stata negata fino alle elezioni di novembre – Sánchez ha avuto bisogno dell’appoggio dei partiti regionalisti e soprattutto dell’astensione della Sinistra repubblicana della Catalogna (Erc).
Questa astensione ha un prezzo molto alto. Erc, che insieme a Junts per Catalunya (JxCat) aveva organizzato il referendum sull’indipendenza della Catalogna del 2017, ha chiesto e ottenuto in cambio l’apertura di una trattativa formale sul futuro della regione, il cui risultato sarà sottoposto a una consultazione pubblica. In questo negoziato la distanza tra le due parti appare difficile da colmare: Sánchez sembra disposto a offrire una riforma dello statuto che conceda più autonomia, mentre Erc punta a ottenere il diritto a organizzare un referendum sull’autodeterminazione che compensi la repressione di quello del 2017 e l’arresto dei suoi organizzatori. Al di là della sostanza, è soprattutto una questione simbolica, ed è proprio questo il problema.
Entrambe le parti rischiano di essere accusate di tradimento per ogni concessione. Erc deve difendere la scelta del dialogo dalle critiche di JxCat, che ha preferito mantenere la linea dell’intransigenza e punta a riprendere la guida del movimento indipendentista. Ma è soprattutto Sánchez a essere sotto pressione. Come dimostrato dal rovente dibattito parlamentare che ha preceduto l’investitura, l’opposizione è intenzionata a puntare tutto sullo scontro in Catalogna per metterlo in difficoltà. Il leader del Partito popolare (Pp) Pablo Casado ha abbandonato la relativa moderazione degli ultimi mesi e si è schiacciato sulle posizioni dell’estrema destra nazionalista di Vox, accusando Sánchez di attentato alla costituzione e minacciando di portarlo in tribunale se non applicherà nuovamente l’articolo 155, con cui Rajoy aveva sospeso l’autonomia della Catalogna.
Ostacoli
Ma l’opposizione parlamentare non è l’unico ostacolo per Sánchez. Il premier dovrà affrontare anche l’ostilità degli organi giudiziari, che resteranno dominati dai conservatori dato che il governo non ha i numeri per influire sulle nomine. A dare il primo avvertimento è stata la Junta electoral central, che alla vigilia dell’investitura ha stabilito l’ineleggibilità e la decadenza del presidente del governo catalano Quim Torra, condannato in via non definitiva per disobbedienza.
Questa decisione, basata su una norma concepita per impedire ai terroristi baschi dell’Eta di entrare nelle amministrazioni locali, ha suscitato fortissime polemiche e ha confermato che Sánchez non potrà aspettarsi molte sponde dalle istituzioni. Erc ha comunque deciso di astenersi, ma la pressione aumenterà se il Tribunal supremo confermerà la condanna di Torra, precipitando la caduta del governo regionale e costringendola a difendersi da JxCat in campagna elettorale.
Sánchez dovrà cercare di spostare subito l’attenzione sul programma di governo stabilito con Unidas Podemos, che contiene obiettivi ambiziosi in grado di mobilitare l’elettorato di sinistra: la cancellazione della riforma del lavoro fatta approvare da Rajoy in piena crisi, un sostanziale aumento del salario minimo, l’innalzamento delle tasse sui redditi più elevati, una legge che definisca stupro i rapporti sessuali senza consenso esplicito. Il suo primo obiettivo sarà approvare finalmente la legge di bilancio che dovrebbe rappresentare un passo decisivo verso la fine dell’austerità.
A febbraio lo stesso bilancio era stato bocciato proprio a causa del voto contrario di Erc, provocato dalle dure condanne inflitte dal Tribunal supremo al suo leader Oriol Junqueras e ad altri leader separatisti per i fatti del 2017. Quella sconfitta aveva costretto Sánchez a convocare le elezioni anticipate. Visto che le sentenze contro gli indipendentisti non sembrano destinate a interrompersi, il premier dovrà sperare che Erc abbia imparato la lezione degli ultimi mesi, in cui la sinistra in Catalogna e nel resto della Spagna non ha fatto che indebolirsi e l’estrema destra ha dimostrato di potersi imporre come forza dominante del campo conservatore. Un fallimento sarebbe disastroso per entrambe le parti. Ma ci vorrà molto sangue freddo per evitarlo.