“Cos’è Bonassola?”, ho sentito chiedere da una signora al marito. “Una spiaggia”, le ha risposto lui. In effetti, Bonassola ha una spiaggia che è quasi più grande del paese, essendo il paese piccolissimo. Ed è anche un paese che, per alcuni, è la succursale marittima del vicinissimo (e ancora più piccolo) Montaretto, una frazione comunale arroccata sulle montagne, considerato “l’ultimo feudo comunista d’Italia, e forse d’Europa”.

E, infine, è un paese (pure lui di tradizione “rossa”) decisamente meno famoso delle adiacenti Cinque terre, nonostante l’orgoglio dei bonassolesi li abbia portati a scrivere su un muro: “Le cinque terre sono cinque, Bonassola è una sola”. Affermazione che non si può contraddire. Ma che viene anche tradotta, da qualcuno, in “Bonassola è una sòla”: soprattutto se si rimane a secco di carburante e si scopre che, tra queste poche strade quasi tutte pedonali e queste abitazioni in gran parte usate come seconde case, non c’è nemmeno un benzinaio.

I residenti dovrebbero essere circa mille ma in realtà parecchi di questi abitano altrove. E molti di quelli che ci vivono sono anziani, quindi l’atmosfera non è delle più frizzanti. Soprattutto in inverno. Ma neppure in estate. In questa località incastonata tra le colline del Levante ligure, in vacanza da anni, oltre ad Armando Cossutta, ci vengono, tra gli altri, anche molti intellettuali e artisti. Ma, soprattutto, gente che non ama il caos. E che è benestante.

Anni fa, un’amica milanese voleva comprare una casa a Parigi; visti i prezzi ha ripiegato su Bonassola; visti i prezzi, ancora più alti di quelli di Parigi, è rimasta a Milano. Effettivamente qui niente è economico, e c’è chi chiama il supermercato “Cartier”. Sarà forse anche per questo che, in tempi di crisi economica, la stagione estiva – escludendo il mese d’agosto – sembra durare solo il tempo del week end: dal sabato mattina alla domenica sera, in pratica. In questi due intensi giorni, flotte di turisti arrivano dal paese e dalle vicinanze per riversarsi in spiaggia, tappezzandola di corpi, asciugamani, ombrelloni, creme solari e cibo di vario tipo mentre le focaccerie, i bar e i ristoranti si riempiono. Poi, dal lunedì al venerdì, la spiaggia riprende a essere vivibile e le focaccerie, i bar e i ristoranti a volte sono mezzi vuoti.

Davanti a una dichiarazione del genere pure Ponzio Pilato avrebbe smesso di lavarsi le mani per applaudire entusiasta

Durante la settimana i proprietari dei negozi rischiano di annoiarsi: come i venditori ambulanti, che sono tra i pochi “migranti” di Bonassola. Così, qualche giorno fa, la mattina del 25 giugno, nella calma piatta dei giorni feriali, ho scoperto con sorpresa che i coordinatori provinciali di Lega nord e Fratelli d’Italia avevano indetto una manifestazione contro Giovanna Cossia De Poli, la quasi settantenne proprietaria del resort La Francesca, che voleva ospitare quattro profughi, due donne e due bambini piccoli, nel suo resort a varie stelle: una serie di casette colorate distribuite in mezzo a 15 ettari di verde, sul pendio che divide Bonassola da Levanto.

Il primo commento di alcuni è stato: “Probabilmente ha l’albergo mezzo vuoto, è per questo che li accoglie”. In Liguria, si sa, qualsiasi forma di generosità è vista con sospetto. Il secondo commento è stato: “In quell’albergo non ci sono mai andata, ma ora voglio farlo”. La voce era quella di una signora milanese che, come hobby, ha quello di lottare per le giuste cause. Il terzo commento è stato: “Qui il vero problema sono le meduse, non i migranti”, frase a cui mi associo, pensandola nello stesso modo. Ma il quarto, e forse il più importante, è stato quello del sindaco, Giorgio Bernardin, della lista civica di centrosinistra Costituzione: “Rispetto chi ospita, ma anche chi manifesta”, ha detto. Davanti a una dichiarazione del genere pure Ponzio Pilato avrebbe smesso di lavarsi le mani per applaudire entusiasta.

La polemica continua
Nel frattempo, a Bonassola, tutto sembra tornato alla normalità, più o meno. Solo aprendo i giornali ci si accorge della polemica in corso. La proprietaria del resort cita le parole di papa Francesco (“Vi invito tutti a pregare perché le persone e le istituzioni che respingono questi nostri fratelli chiedano perdono”) e fa considerazioni in linea con quelle del pontefice (“Qual è la cosa più naturale del mondo quando si incontra una persona in difficoltà? Aiutarla. Se so di qualcuno che non ha un posto dove stare dopo essere scappato da una patria in preda a guerre e a situazioni ingestibili, io – come penso tanti altri – cerco di aiutarlo. Magari ospitandolo, avendone la possibilità”).

Le risponde Stefania Pucciarelli, neoconsigliera regionale del Carroccio: “L’arrivo di immigrati in piena estate in una struttura ricettiva di Bonassola potrebbe compromettere l’economia turistica di un comune che vive sul turismo”. Frase che appare quasi ridicola, pensando che l’arrivo di immigrati consisterebbe nell’accoglienza di due mamme e due bambini piccoli. Certamente meno pericolosi di quello yacht che, l’estate scorsa, invece di attraccare vicino a una spiaggetta sperduta ha lanciato l’ancora troppo vicino alla riva, forse per non soffrire di solitudine, rompendo i tubi delle fognature di Bonassola che hanno riversato il loro contenuto in mare. E “nuotare in un mare di merda” (fuor di metafora) compromette l’economia turistica certamente più dell’iniziativa della proprietaria del resort La Francesca che, ancora adesso, sta vagando da un ufficio all’altro in cerca di risposte.

La questura l’ha rimbalzata prima alla protezione civile, poi alla prefettura e infine alla regione, che le ha detto che non possono essere accettati donne e bambini. Quindi si è rivolta alla Casa della carità di Milano, che l’ha mandata prima alla Caritas milanese e poi a quella spezzina, che le ha dato una conferma di interesse il 23 giugno. Poi il nulla, escludendo la manifestazione bonassolese degli esponenti di Lega nord e Fratelli d’Italia, che le chiedevano tra l’altro di ospitare i senzatetto italiani al posto dei profughi. “I migranti aiutiamoli a casa loro”, hanno aggiunto usando una frase che ha ormai sostituito la celebre, ma ormai un po’ datata: “Non sono io che sono razzista, sono loro che sono negri”.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it