Il razzismo di Donald Trump ha successo perché non ha niente di comico
Chi si chiedeva se fosse necessario prendere sul serio la candidatura di Donald Trump ha finalmente ottenuto una risposta.
Il suo vantaggio degli ultimi quattro mesi in quasi tutti i sondaggi per la candidatura repubblicana è sempre stato controbilanciato dall’ovvio: Trump è un buffone, con un riporto sfrontato, ridicolo e stravagante quanto la sua retorica. Ha offeso le donne, i messicani, le persone disabili, gli ebrei, i cinesi e gli immigrati.
Quanti lo consideravano un semplice intrattenitore hanno continuato ad aspettare che il suo pubblico di repubblicani capisse lo scherzo e passasse a candidati più presentabili. Ma il 7 dicembre, dopo aver invocato il divieto d’ingresso negli Stati Uniti per i musulmani, la sua presenza è diventata così ingombrante che anche i critici più sprezzanti hanno dovuto smettere di far finta che non esistesse.
Provocando la felicità dei suoi ammiratori, infatti, Trump ha letto una dichiarazione in cui si riferisce a se stesso in terza persona: “Donald J. Trump invoca una totale e completa chiusura delle frontiere degli Stati Uniti ai musulmani finché i nostri rappresentanti non saranno in grado di capire che diavolo sta succedendo”.
Gli americani sono abituati a sentire parole così velenose dai conduttori radiofonici e, occasionalmente, dai presentatori delle tv Fox. Ma ascoltarle dal favorito di uno dei principali partiti alla corsa per la candidatura alla Casa Bianca è stato più di quanto molti si sarebbero aspettati. Quelle che un tempo erano incitazioni all’odio marginali rispetto alla vita politica, oggi fanno stabilmente e fieramente parte del discorso politico. “Forse non è politicamente corretto, ma non m’importa”, ha aggiunto poi Trump.
In questo risiede buona parte della sua attrattiva. Esprime la frustrazione e il disorientamento di quella fetta di bianchi statunitensi non istruiti, non qualificati e sottopagati, i cui stipendi e la cui ascesa sociale si sono bloccati e che hanno nostalgia dei loro privilegi locali e del loro status globale. Negli ultimi tempi hanno perso guerre, posti di lavoro, case e fiducia.
Quando definisce i messicani “stupratori”, i cinesi “imbroglioni” e tutti i musulmani una potenziale minaccia, dà libero sfogo alle insicurezze che queste persone provano nei confronti di un mondo sempre più cosmopolita e imprevedibile, dal quale sentono di essere state escluse.In questo senso, la sua base elettorale non è molto diversa da quella del Front national, che ha appena trionfato nelle elezioni regionali francesi, dell’Ukip o dei diversi partiti di estrema destra che attualmente stanno crescendo in Europa.
“Le minoranze rappresentano un punto critico per una serie d’incertezze che stanno a metà tra la vita di tutti i giorni e il suo scenario globale in rapida evoluzione”, scrive Arjun Appadurai in Fear of small numbers. “Questa incertezza, inasprita dall’incapacità degli stati di assicurare la sovranità economica nell’era della globalizzazione, può trasformarsi in una mancanza di tolleranza nei confronti di qualsiasi tipo di comunità straniera”.
Non è Trump ad aver inventato il sentimento antislamico negli Stati Uniti
Quella di Trump era in parte una risposta alla sparatoria di San Bernardino, dove una coppia di musulmani, dichiarando il sostegno ai jihadisti dello Stato islamico, ha ucciso 14 persone. L’uccisione di massa, la numero 353 dell’anno, è stata definita dall’Fbi e da Barack Obama un “incidente terroristico”.
Per coloro che considerano come la principale minaccia i musulmani – invece che il facile accesso alle armi da fuoco – la sparatoria non ha rappresentato uno dei tanti episodi della violenza armata negli Stati Uniti, ma una particolare patologia che alimenta una paura latente.
Non è Trump ad aver inventato il sentimento antislamico negli Stati Uniti. Un sondaggio del Pew research institute del 2014 ha chiesto agli intervistati di valutare le diverse religioni su una scala da uno a cento, nella quale i punteggi più alti indicavano sentimenti positivi. L’islam si era piazzato in ultima posizione con 40, appena dopo gli atei, con 41. Un punteggio che scendeva a 33 tra gli elettori repubblicani.
Sfruttare l’intolleranza a fini elettorali
E in realtà, anche se i colleghi repubblicani lo hanno criticato il 7 dicembre, in pochi si erano indignati quando, appena due settimane prima, Trump aveva proposto un database per controllare i musulmani che vivono negli Stati Uniti. E non è stato l’unico a invocare misure discriminatorie.
Ben Carson, uno dei suoi principali avversari per la candidatura, ha suggerito che i rifugiati siriani dovrebbero essere controllati come se fossero “cani rabbiosi”. Nel frattempo, altri due candidati repubblicani, il senatore del Texas Ted Cruz e l’ex governatore della Florida Jeb Bush, hanno suggerito di dare la priorità ai cristiani tra i rifugiati che vengono dalla Siria.
Ma per quanto la corsa a chi discrimina di più sia partita da tempo, Trump ha sempre goduto di una posizione privilegiata per vincerla e sfruttare l’intolleranza nei confronti dei musulmani a fini elettorali. Un sondaggio di quest’anno ha mostrato come i suoi sostenitori siano quelli che provano i sentimenti più negativi verso i musulmani: il 77 per cento di loro è convinto che “i valori dell’islam siano incompatibili con i valori e lo stile di vita degli Stati Uniti”.
Più l’establishment lo critica, più i suoi sostenitori si convincono dell’idea che stia rompendo un tabù
Il sostegno nei suoi confronti, che stava declinando fino agli attentati di Parigi, si è da allora impennato, e lo stesso è accaduto al numero degli attacchi antislamici negli Stati Uniti. Per quanto i suoi commenti abbiano ricevuto serie critiche da tutto lo spettro politico, resta da dimostrare che questo l’abbia danneggiato. Più l’establishment lo critica, più i suoi sostenitori si convincono della sua dimensione di sfavorito e dell’idea che stia rompendo un tabù.
Il fatto che il suo sfoggio di xenofobia non l’abbia danneggiato tra i sostenitori repubblicani la dice lunga sul partito. Ma chiedersi che effetto avranno queste uscite sul piano elettorale è secondario rispetto al danno che sta chiaramente facendo alla vita politica americana.
Quando una discriminazione di queste dimensioni fa il suo ingresso nel mercato politico, svaluta una democrazia, indebolisce tutto e lascia tutti più divisi. Trump non sarebbe il primo politico che da ridicolo si trasforma in pericoloso prima che i mezzi d’informazione e le élite politiche si rendano conto che, in realtà, sono loro a subire la burla.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano britannico The Guardian.