Gerhard Mumelter è il corrispondente del quotidiano austriaco Der Standard. Con questo post comincia il suo blog su Internazionale.
Nel lontano 1974, quando Richard Nixon si dimette da presidente degli Stati Uniti per evitare l’impeachment, Gianfranco Fini ha già cominciato la sua lunga carriera politica nella direzione nazionale del Fronte della gioventù.
Nel 1976, anno di morte di Mao Tse Tung, l’allora segretario della Federazione giovanile socialista viene eletto in parlamento. Si chiama Fabrizio Cicchitto e ama citare Marx. Nel 1973, quando finisce la guerra del Vietnam, Massimo D’Alema è già capogruppo del Pci nel consiglio comunale di Pisa. Nel 1979, quando la Lady di ferro Margaret Thatcher comincia la sua carriera a Downing street, il giovane fascista Maurizio Gasparri diventa vicesegretario del Fronte della gioventù e il venticinquenne romano Francesco Rutelli viene eletto segretario regionale del Partito radicale.
Quando nel 1980 John Lennon viene ucciso davanti alla sua casa di New York, il promettente democristiano Pier Ferdinando Casini si dedica già al suo mandato di consigliere comunale di Bologna. Nel 1990, quando il crollo dell’Unione Sovietica suggella la fine della guerra fredda, Pier Luigi Bersani è consigliere regionale dell’Emilia Romagna. Fini ha la stessa età di Tony Blair, che ha lasciato la scena politica dopo aver governato per dieci anni. Rutelli è coetaneo di José Maria Aznar, che si è ritirato nel 2004 dopo la sconfitta elettorale. Rutelli per la sua sconfitta alle comunali di Roma è stato invece premiato con un seggio al senato. Nella sua lunga marcia dai radicali verso padre Pio è approdato al suo quinto partito, Fini al quarto.
L’Italia è da molti anni ostaggio di una gerontocrazia politica autoreferenziale e ingessata. Per sottolineare l’anomalia e la distanza siderale che divide il bel paese da altri stati europei, bastano alcune immagini eloquenti.
Per esempio quella di un gruppo sorridente di persone che pedala nel centro di Copenaghen. Sembra un gruppo di ciclisti come tanti nella capitale danese. Ma è il nuovo governo che va dalla regina per il giuramento. La premier Helle Thorning ha 44 anni, il ministro delle finanze 26, la ministra della sanità 29. L’età media del governo Monti è di 64 anni.
Altra foto: il premier britannico David Cameron e sua moglie aspettano all’aeroporto di Stansted un volo low cost per Malaga, dove passano alcuni giorni di vacanza in un albergo a tre stelle.
Altra immagine: la cancelliera Angela Merkel spinge il suo carrello verso la cassa di un supermercato di Berlino, mette le sue cose nella busta e salda il suo conto. Gli italiani non si aspettano niente del genere. Non si attendono Berlusconi al supermercato o Fini sulla Ryanair. Visti i precedenti si accontenterebbero di molto meno. Di un po’ di normalità, che i corrotti siano puniti e chi perde le elezioni si faccia da parte. Che chi è condannato non possa entrare in parlamento.
Ma in queste settimane sono testimoni dell’esatto contrario: in barba alla grave crisi del paese, la classe politica sfoggia i peggiori istinti. Blocca anche le riforme più urgenti con veti incrociati: la riduzione dei parlamentari promessa mille volte, la legge elettorale, il taglio ai finanziamenti pubblici. È uno scenario scoraggiante: gli stessi partiti che hanno portato il paese sull’orlo dell’abisso, scalpitano per tornare al potere il più presto possibile. Fanno di tutto per resistere a ogni pur minima autoriforma. Salgono sulle barricate per evitare l’abolizione dei vitalizi, nutrono a piene mani quell’antipolitica che a parole fingono di combattere.
A Montecitorio si discute la revisione del rimborso elettorale? I presenti sono quindici. Nessuna vergogna, nessun senso di dignità: ormai è palese che un esercito di parlamentari ha rinunciato a visioni politiche e programmi. Ha un unico traguardo: salvare la propria poltrona. I partiti sgambettano, minacciano elezioni, alzano il tono, boicottano leggi urgenti, bloccano l’importante riforma del mercato del lavoro con valanghe di emendamenti. Non fingono nemmeno di preoccuparsi delle conseguenze del loro comportamento irresponsabile. Osannano blande riformucce come quella che prevede macchine blu e uffici agli ex presidenti del parlamento non più a vita, ma “solo” per dieci anni.
In Italia un taglio netto, una misura limpida, una legge non annacquata sembra impossibile. C’è sempre una manina che introduce miracolosamente qualche comma a favore di questa o quella lobby. Un comunista come Fausto Bertinotti non dovrebbe capire che dopo la fine del mandato non ha più diritto a uffici parlamentari? Non in Italia, dove nel corso dei decenni la vorace partitocrazia si è abituata a privilegi di tutti i tipi: dal volo gratuito al posto allo stadio. Dove quelli che ufficialmente sono contrari al divorzio si autoconcedono agevolazioni per le coppie di fatto.
Certo, per cambiare rotta basterebbero alcune leggi molto semplici: limitazione di tutti i mandati politici a un massimo di tre. Divieto di candidarsi a condannati e inquisiti. Incompatibilità del mandato con posti nei consigli di amministrazione, scelta netta tra incarico politico e professione: o il seggio o il lavoro di avvocato. Abolizione dei privilegi più insostenibili. Ma non succederà niente di tutto questo. Il detestato Mario Monti, che alle scuderie del Quirinale insiste spudoratamente per pagare il biglietto, tra dieci mesi farà posto a quelli che si sono assuefatti alla stanza dei bottoni e si ritengono insostituibili.
Il papa manda in pensione i vescovi a settant’anni? È l’unico punto in cui la separazione tra stato e chiesa è netta. Alle prossime elezioni il Cavaliere si ripresenta. A 76 anni. Per garantire la continuità. E - ovviamente - per il bene del paese.
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