Se ci voleva ancora una prova del fatto che in parlamento ormai regna la follia, è arrivata ieri. Il senato ha votato per la galera ai giornalisti. Chi diffama, non deve pagare un risarcimento e rettificare la notizia sbagliata, ma andare in prigione.
È successo durante il dibattito sulla lex Sallusti, l’ennesima legge ad hoc che dovrebbe salvare dalla galera il direttore del Giornale. È stato un voto trasversale contro la stampa che ha svelato il profondo rancore di molti parlamentari contro i giornalisti che prendono di mira la casta.
L’emendamento, votato in barba all’accordo dei capigruppo, è stato proposto da Lega ed Api, due partiti che volevano vendicarsi così per i fiumi d’inchiostro versati per i casi Belsito e Lusi. I parlamentari sono l’unica categoria protetta nei confronti di un mandato di cattura e che inoltre ha il potere di mandare in galera altri. Hanno salvato dall’arresto personaggi come Marco Milanese e Sergio De Gregorio, ma vogliono i giornalisti dietro le sbarre.
Secondo Rutelli è stato “un voto di coscienza”. Sarà. Ma come mai la coscienza dei parlamentari si manifesta solo nell’anonimità di un voto segreto? Ora si cercherà di correggere la rotta. Ma il voto del senato è l’ennesima prova della deriva di un sistema democratico, nel quale gli accordi presi non valgono nulla e dove conta solo la legge della giungla.
C’è un parlamento impazzito che da un anno non riesce a varare una legge elettorale degna di questo nome, perché l’interesse primario non è quello di garantire un voto libero ai cittadini, ma quello di danneggiare l’avversario politico. Un parlamento dove centinaia di
dead men walking non hanno altra preoccupazione se non quella per un futuro senza lauto stipendio e privilegi.
È un sistema che si sfalda tra iniziative spudorate come il nuovo condono proposto dall’ex ministro della giustizia Nitto Palma e calendarizzato dal Pdl. Con l’onorevole Mario Tassone (Udc) che definisce il suo vitalizio di 6.800 euro una “cifra molto modesta”. Con la Lega che annuncia il suo esodo dal parlamento per paralizzare anche gli ultimi scampoli di democrazia. Con partiti che si sbriciolano tra moralizzatori come Antonio Di Pietro che inciampano sulle proprietà immobiliari e un tesoriere che sperperava i soldi ai videopoker. Con il partito di maggioranza telecomandato dalla spiaggia di Malindi da un anziano monarca che manovra la scena dietro le quinte.
E con cinque candidati che si sfidano nelle primarie per scoprire dopo che nessuno di loro potrà governare perché privo di maggioranza. Un mondo surreale.
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