Spostare persone da una poltrona all’altra è sempre stato il gioco preferito della politica italiana. Ed è quello che succede anche ora che si libera il Quirinale. La giostra sta già girando. Pier Luigi Bersani ha detto: “Per il Quirinale immaginiamo una figura istituzionale”.
In realtà ci vorrebbe l’esatto contrario. Il paese avrebbe bisogno di una donna cinquantenne, disposta a spezzare le ingessature istituzionali e a ignorare i cerimoniali, come ha fatto il papa. “Figura istituzionale” è l’eufemismo classico per un uomo magari over 70 in cerca dell’ennesima poltrona. Per dinosauri come Marini, D’Alema o Amato, che per convenzione istituzionale si tengono il titolo di presidente per tutta la vita.
La “soluzione istituzionale” è il classico ripiego per evitare ogni rinnovamento. Ne è conferma la sconcertante lista dei “saggi” nominati da Napolitano. Dieci uomini e nessuna donna. Una decisione inaudita, aggravata dal fatto che è proprio il presidente della repubblica a calpestare la parità dei sessi sancita dalla costituzione.
L’imbarazzante reality politico istituzionale che va in onda da settimane di fronte agli occhi annoiati degli italiani è una sequenza di rituali anacronistici inadatti a produrre risultati. Nessun cittadino normale capisce formule astruse del politichese come “governo del presidente” o “governo di scopo”. Nessuno capisce perché Bersani ha impiegato una settimana di inutili consultazioni per capire che Grillo e Berlusconi non gli avrebbero votato la fiducia.
L’attuale stallo è provocato da un classico della politica italiana: i veti incrociati. Ma è anche l’ennesimo esempio di una vera e propria smania istituzionale che pervade la politica del bel paese. Il rituale del pellegrinaggio dei partiti al Quirinale, il balletto del preincarico, il linguaggio istituzionale che ci informa sulle “consultazioni il cui esito non è stato risolutivo”, sono espressioni di un mondo surreale scollegato dalla realtà.
Si sa che le istituzioni in Italia sono logore, gonfiate, mal sopportate e poco rispettate. Fra cittadini e istituzioni c’è una distanza siderale. Il parlamento non è solo il più costoso ed inefficiente dell’Unione europea. Ma ha anche regole molto bizzarre. Un deputato non viene espulso se è un pregiudicato, ma viene espulso se non porta giacca e cravatta. Un anacronismo assurdo, rispettato senza il minimo mugugno anche dai grillini, che volevano rivoluzionare il parlamento.
Durante il suo discorso inaugurale alla camera, Laura Boldrini era fiancheggiata da due commessi immobili in uniforme con guanti bianchi. Espressione tangibile di un’arcaica ingessatura istituzionale. E che dire dei corazzieri del Quirinale? E del numero dei suoi addetti, che supera quello della regina inglese? Del rigido protocollo, delle frotte di consulenti, delle macchine blu che seguono il povero presidente anche quando prende un caffè nel suo quartiere Monti?
Le istituzioni italiane - dal Quirinale alla magistratura, dai partiti al parlamento - hanno bisogno di un radicale snellimento, di una cura dimagrante che elimini zavorre inutili, inefficenze ovvie e quel “decoro istituzionale” che spesso fa da paravento per le stanze dei poteri. Ma succede il contrario.
In parlamento ci sono tre forze divergenti, favorevoli a dimezzare il numero dei parlamentari. Non lo fanno per paura di contagio. C’è una netta maggioranza che in una settimana potrebbe votare la riduzione dei costi della politica, la riforma elettorale, una legge anticorruzione e decine di altre misure necessarie. Ma in barba alla grave crisi, continua l’eterno teatrino politico dove da sempre vince la voglia di distinguersi.
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