La batosta elettorale e l’ultima frecciata di Umberto Bossi contro Roberto Maroni hanno fatto scivolare la Lega nord sull’orlo di una crisi di nervi. Il Senatur minaccia di “riprendersi il partito”, che Maroni avrebbe distrutto. La lite senza esclusioni di colpi ci rivela nuovi dettagli sul fiume di soldi dirottato dalla casse della Lega verso la famiglia Bossi.
Ora il partito minaccia di tagliare la somma di 800mila euro che tuttora versa annualmente al Senatur - una specie di appannaggio per segreteria, aiutanti, autisti e la scuola fondata dalla moglie. È l’ultimo affondo contro il fondatore della Lega che per un ventennio fu il suo capo incontrastato e che non intende rassegnarsi all’inevitabile declino. Non ho mai condiviso la sopravvalutazione della figura di Bossi da parte della stampa italiana. E le ultime vicende confermano lo scarso spessore del leader, che non ha realizzato neanche una delle sue numerose promesse e che alla fine della sua lunga carriera rimane con un pugno di mosche in mano.
Il suo ex tesoriere Francesco Belsito, in carcere da aprile, ha raccolto nei minimi dettagli nel fascicolo “The family” tutti i versamenti del partito alla famiglia del leader: ristrutturazioni, spese sanitarie e scolastiche, multe e assicurazioni del figlio Renzo, fatto eleggere dal solerte padre nel consiglio regionale della Lombardia.
In Tunisia è stato scoperto lo yacht da 2,5 milioni di euro che il figlio Riccardo secondo i magistrati inquirenti ha comprato con i soldi della Lega. Il predecessore di Belsito, Piergiorgio Stiffoni, poche settimane fa ha patteggiato una pena di due anni e sei mesi per aver intascato quasi un milione di rimborsi elettorali. Sintomi della superiorità della razza padana a Roma ladrona.
Già la prima moglie di Bossi, Gigliola Guidali lo descrive come personaggio imbarazzante: “Era bugiardo e fannullone. Uno che a 35 anni non aveva mai lavorato, si faceva mantenere agli studi dai genitori e mi raccontò una clamorosa bugia, facendomi credere che si era laureato”. Bossi entrerà negli annali come uno dei più modesti ministri della storia della repubblica, che del federalismo fiscale ha fatto un totem miseramente fallito. Ha raccolto una serie di condanne per finanziamento illegale del partito, vilipendio, diffamazione e istigazione a delinquere.
Autoritario e spesso volgare, aggrappato alla poltrona anche dopo il suo ictus, non ha solo espulso tutti i cofondatori della Lega, ma una lunga serie di parlamentari, ex ministri e funzionari, non ultimo l’ideologo Gianfranco Miglio, definito come “scoreggia nello spazio”. Ora Bossi minaccia di riprendersi la guida della Lega nord: “La gente vorrebbe che io tornassi”, farnetica il Senatur, la cui unica secessione riuscita è quella con il mondo reale. Sembra l’ultima e triste parabola di un vecchio leader, i cui scandali finanziari hanno deluso anche i leghisti più irriducibili.
Concentrato come sempre su se stesso, Umberto Bossi non sembra neanche accorgersi che il partito, alla cui guida vorrebbe tornare, è ormai a rischio estinzione, come il suo patetico fondatore.
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