La senatrice Adele Gambaro è colpevole del reato di lesa maestà. In un’intervista a Sky si è permessa di criticare il tono minaccioso del blog di Beppe Grillo, che “invece di incoraggiarci, ci mette in cattiva luce”. La reazione è stata fulminea. Grillo ha chiesto alla rete un referendum su se stesso: “Ditemi se il problema sono io”.
In mezz’ora si è scatenata la solita valanga di insulti contro la parlamentare ingrata, che non avrebbe “capito lo spirito del movimento” e sarebbe stata “pagata per dire l’enorme cazzata”. Valanga con parecchi distinguo. In un patetico post dal titolo significativo (“Quando uno non vale niente”), Grillo ha emesso la sentenza: ”Uno vale uno quando è consapevole che l’opportunità unica che gli è stata offerta non è per i suoi meriti, ma per servire un paese alla canna del gas e i suoi disperati cittadini”. Quindi ha ordinato alla senatrice emiliana di “uscire al più presto dal movimento”.
È una decisione incredibile e autoritaria, che smentisce nettamente le dichiarazioni del proconsoli grillini sulla loro libertà decisionale. “Grillo non comanda un cazzo”, aveva sostenuto il deputato Andrea Ceccanti solo poche ore prima. La sentenza evidenzia un’anomalia unica in Europa: un presidente autoproclamato e non eletto silura una parlamentare per presunta disobbedienza. Grillo, oltre a esserne il fondatore è anche - nel vero significato della parola - il proprietario dell’M5s. Il logo è suo e il blog è ritenuto il vero canale di comunicazione del movimento. Senza chiedere conto a nessuno può decidere di negare l’uso del logo a chiunque, come un padre-padrone.
È la bruciante sconfitta elettorale a far esplodere nell’M5s le malcelate contraddizioni. Adele Gambaro ha osato criticare l’eufemismo di Grillo che aveva definito il cammino dell’M5s come “lento e inesorabile”, salutando i due neosindaci di Pomezia ed Assemini. ”Due comuni conquistati non sono un successo, ma una debacle elettorale”, ha protestato la senatrice. L’interpretazione del risultato elettorale evidenzia il grado di dogmatismo del movimento. In un’intervista al Corriere della sera Vito Crimi, in pessimo stile democristiano, ha negato il bilancio magro del voto: ”Siamo passati da zero a due comuni. Va benissimo così”. Mentre la deputata catanese Giulia Grillo parla di “dura sconfitta” e della “necessità di rivedere il modo di partecipare”, il senatore siciliano Maurizio Vincenzo Santangelo, di fronte al crollo del movimento, nega l’evidenza: “Non c’è nessuna situazione negativa”. Ma la batosta elettorale è troppo vistosa per poterla nascondere. A Catania, Messina e Siracusa il movimento, che tre mesi fa aveva superato il 30 per cento, non è riuscito ad entrare nei consigli comunali.
Sono bastati questi tre mesi a convincere molti elettori a ritirare il loro voto dato in prestito all’M5s. Sono rimasti delusi dalle continue fibrillazioni di un movimento che aveva in mano la
golden share del governo e si è perso in dibattiti futili. Si sono stufati dell’incontinenza verbale di Grillo e dalla sua particolare percezione della realtà, che vede nella conferma di Napolitano un “golpe” e nel parlamento ”una tomba maleodorante”, che insulta il candidato al Quirinale dell’M5s Stefano Rodotà definendolo “ottuagenario miracolato dalle rete” e la candidata Milena Gabanelli come “giornalista non libera”.
Si sono stufati delle offese quotidiane, delle prediche, delle visioni catastrofiche, dei vittimismi e dell’autocelebrazione. Sono stati delusi dalla mediocrità piccolo borghese degli ex capigruppo Vito Crimi e Roberta Lombardi, dalla mancanza di ogni autocritica, dalla campagna isterica contro la stampa e dai continui tentativi di tenere sotto controllo i parlamentari.
L’espulsione di Adele Gambaro è l’ultimo atto di autolesionismo di un leader che sta rovinando il giocattolo da lui creato con le proprie mani. Il disagio è evidente, la resa dei conti sembra vicina. Questa volta lo tsunami potrebbe essere postelettorale.
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