E così siamo arrivati al fatidico 30 luglio. Giorno in cui l’appuntamento giudiziario di un singolo individuo potrebbe influenzare il futuro politico di un intero paese. Oggi o domani cinque giudici della corte di cassazione devono decidere se la lunga carriera politica Silvio Berlusconi si chiuderà con un’interdizione dai pubblici uffici.

Su quello che succederà si sa pochissimo. Sembra che la richiesta di rinvio, finora data per certa, non ci sarà. Anche la rinuncia alla prescrizione, annunciata dall’avvocato Franco Coppi, non sembra più così probabile.

Pochissime le certezze, ignote le istanze della difesa di Berlusconi e dei suoi tre coimputati. È incontestabile che i giudici devono arrivare al verdetto sotto una pressione psicologica e mediatica enorme e che la loro decisione potrebbe portare anche a una crisi di governo, prova tangibile dell’anomalia politica del paese.

I giudici (che certamente non sono delle toghe rosse) possono scegliere tra alcune opzioni: potrebbero confermare la sentenza a quattro anni (di cui tre cancellati dall’indulto) e l’interdizione dai pubblici uffici, ciò che Berlusconi teme di più. Oppure decidere per l’assoluzione. Ma ci sono altre due scelte immaginabili. Potrebbero decidere un rinvio di alcune settimane e passare la patata bollente ad altri giudici, dato che la sezione feriale opera solo fino al 15 settembre.

Potrebbero infine accogliere uno dei circa 50 rilievi tecnici presentati dagli avvocati e rispedire il caso alla corte di appello di Milano, seppellendolo così definitivamente per prescrizione. O ancora decidere per un compromesso all’italiana che salvi capra e cavoli: ridurre la pena sotto i tre anni e far cadere l’interdizione. Così Berlusconi sarebbe condannato definitivamente ma senza dover abbandonare la carriera politica.

C’è un evidente squilibrio tra il silenzio totale di corte e avvocati e il fiume di speculazioni, disinformazioni e propaganda che i mezzi di comunicazione riversano sul paese. Silvio Berlusconi, al quale il suo nuovo avvocato Franco Coppi ha imposto il silenzio, è stato

costretto a smentire un’intervista a Libero, uno dei quotidiani che da settimane sul processo Mediaset usano un vocabolario da guerra civile. Lo stesso linguaggio dei falchi berlusconiani che minacciano manifestazioni di massa.

“Non credo che gli elettori staranno a pettinare le bambole”, annuncia Daniela Santanchè. Ma per chi conosce l’Italia è improbabile che in agosto le masse si spostino dalle spiagge alle piazze. Michaela Biancofiore in caso di condanna dà per “scontate le dimissioni di tutti i parlamentari Pdl”. Anche qui ci permettiamo qualche dubbio: che decine di parlamentari attaccati da decenni alle loro poltrone le possano mollare per una sentenza è poco probabile.

Ma per assurdo la sentenza dei giudici della corte di cassazione rischia di mettere in fibrillazione non solo il Pdl. Anche il Pd in caso di condanna del Cavaliere non farebbe salti di gioia. “Farebbe saltare il Partito democratico come un birillo”, sostiene l’ex tesoriere Ugo Sposetti. Un delirio.

Per vedere cosa succederà realmente è meglio aspettare che si diradi la polvere della battaglia. Ovviamente la calura estiva contribuisce ulteriormente ad annebbiare le menti. Lo dimostra il fatto che Marco Pannella sta considerando di candidarsi a segretario del Pd. Forse gli conviene attendere la sentenza dei giudici. Perché se salta Berlusconi, per l’anziano combattente radicale si aprirebbe una seconda casella.

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