È una situazione abbastanza illogica: mentre in molte città italiane la campagna elettorale è partita a pieno ritmo, si ignora tuttora la data delle elezioni. Eppure è un voto che coinvolge milioni di italiani in 1.351 comuni, tra cui città come Roma, Milano, Torino, Napoli, Bologna, Cagliari e Trieste. E poiché in Italia i partiti litigano eternamente su tutto, anche la data puntualmente è diventata oggetto di velenose polemiche.

Ufficialmente il compito di fissarla spetta al governo. Ma è ovvio che dovrebbe risultare da un accordo tra i maggiori partiti. Ora il ministro dell’interno Angelino Alfano ha annunciato che proporrà al consiglio dei ministri il 5 giugno, provocando l’immediata ira delle opposizioni. Per Giorgia Meloni è “una data infame perché cade nel mezzo di un ponte. Il governo sceglie questa data perché non vuole mandare la gente a votare. Renzi ha paura di perdere”. Meloni propone di votare il 29 maggio, richiesta sostenuta con forza da Renato Brunetta: “È insopportabile che si voti con tanto ritardo”.

L’oggetto della contesa è molto italiano: il festivo del 2 giugno cade di giovedì e molti cittadini potrebbero cogliere l’occasione per un ponte. Alfano respinge le critiche con ironia: “Non credo che milioni di italiani faranno una vacanza con cinque pernottamenti. Sarebbe la proclamazione definitiva dell’uscita dell’Italia dalla crisi”.

C’è il timore che l’imminente ingorgo elettorale possa indurre molti elettori delusi a preferire le spiagge ai seggi

Le opposizioni avevano già contestato senza successo la scelta del governo di fissare il referendum sulle trivelle al 17 aprile. Le regioni interessate e le associazioni ambientaliste avevano chiesto invano un election day, abbinando il referendum al primo turno delle comunali.

Il Movimento 5 stelle accusa il governo di sprecare 300 milioni di euro per “affossare un referendum già azzoppato nei contenuti”. Per raggiungere il quorum ora le opposizioni sperano che il recente scandalo in Basilicata possa mobilitare un numero sufficiente di elettori. Per loro è innanzitutto un referendum per indebolire Matteo Renzi e il Partito democratico, diviso sull’argomento.

C’è il timore che l’imminente ingorgo elettorale – con rispettive polemiche – possa indurre molti elettori stanchi e delusi a preferire le spiagge ai seggi elettorali. Il record spetta senz’altro a Bolzano, dove tra referendum locali, nazionali ed elezioni i cittadini sono chiamati alle urne sei volte in sette mesi.

È molto probabile che il governo fissi il 5 giugno per le comunali e il 19 per i ballottaggi – data estiva con tentazioni balneari. Che il 12 giugno sia stato scartato per la festa ebraica del Shavuot è una decisione certamente discutibile in uno stato che si proclama laico.

La fibrillazione politica in queste settimane sta decisamente aumentando, anche in vista del referendum costituzionale che dovrebbe decidere la sorte politica di Renzi. In caso di sconfitta, il premier ha promesso di dimettersi e lasciare la politica. Dopo quasi due anni, ora alla camera è imminente l’ultimo voto sul disegno di legge costituzionale. Subito dopo dovrebbe essere fissato il referendum, su richiesta di un quinto dei membri di una delle camere.

Nel frattempo le opposizioni cercano di far cadere il governo con l’ennesima mozione di sfiducia. È un fatto che in altri paesi europei avviene forse una volta ogni dieci anni. In Italia succede ogni tre mesi. E già da settimane Il Fatto quotidiano sta raccogliendo le firme per un altro referendum promosso da Gustavo Zagrebelsky e altri intellettuali per cancellare la stessa riforma costituzionale che sta per essere varata. Referendum contro referendum: è l’ennesima conferma che l’Italia è un paese in perenne fibrillazione politica. Che non produce mai fatti concreti.

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