Il 3 dicembre il premier svedese Stefan Löfven ha annunciato elezioni anticipate per il 22 marzo, dopo che la finanziaria per il 2015 proposta dal suo governo era stata bocciata dal parlamento. Il partito dei Democratici di Svezia (Ds), xenofobo e populista, ha infatti votato la legge di bilancio alternativa proposta dalla coalizione di centrodestra, all’opposizione.
Löfven, a capo di una coalizione rosso-verde guidata dal Partito socialdemocratico, di cui è il leader, non ha avuto scelta e ha dovuto indire nuove elezioni. È la prima volta che succede in Svezia da oltre mezzo secolo.
Secondo Svenska Dagbladet, la sua mossa è molto rischiosa, perché è altamente probabile che i Democratici di Svezia, ormai terza forza politica del paese, a marzo ottengano un risultato ancora migliore di quello delle elezioni di settembre. Inoltre, prosegue il giornale di Stoccolma, “nulla fa pensare che uno dei blocchi otterrà la maggioranza e che le elezioni produrranno una distribuzione dei seggi diversa da quella attuale”.
Un altro giornale della capitale, Dagens Nyheter, ritiene invece che Löfven, e con lui buona parte degli osservatori e della classe politica, abbia commesso un grosso errore “sottovalutando l’ambizione dei Democratici di Svezia di lasciare un segno nella vita politica svedese”. Nell’establishment svedese c’è un generale consenso sul fatto che “passate le elezioni, le forze politiche debbano deporre le armi e mettersi al lavoro”. E a nessuno viene in mente che potrebbe non andare così.
I socialdemocratici “non hanno preso sul serio le minacce dei Democratici di Svezia” di non approvare una finanziaria che non contenesse misure più restrittive in materia di immigrazione e “hanno pensato che la cultura politica svedese avrebbe prevalso” anche tra i Ds. Evidentemente si sono sbagliati.
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