Mercoledì 13 maggio la Commissione europea deve presentare l’attesa agenda europea sull’immigrazione, un programma quinquennale per rispondere a una delle più pressanti crisi umanitarie del momento: secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, 1.829 persone sono morte dall’inizio dell’anno mentre tentavano di raggiungere l’Europa via mare, contro 207 nello stesso periodo dell’anno precedente.
Si tratterà di elaborare politiche comuni in materia di diritto d’asilo, di traffico di esseri umani, di controlli alle frontiere esterne, di immigrazione irregolare e regolare, come annunciato durante il Consiglio europeo straordinario del 23 aprile, convocato sull’onda di una serie di tragici naufragi. Tutti argomenti politicamente esplosivi, in un contesto in cui, a un aumento delle tragedie legate all’arrivo massiccio di migranti e rifugiati, corrisponde un forte irrigidimento delle opinioni pubbliche europee, spaventate e manipolate da politici senza scrupoli e informazioni più o meno coscientemente poco accurate.
E infatti ad aprile i leader dei ventotto paesi dell’Unione europea avevano accuratamente evitato di affrontare gli aspetti più delicati, seppure non i meno importanti, come la ripartizione dei migranti e dei richiedenti asilo in base a quote per paese (in relazione al pil, al tasso di disoccupazione, alla popolazione e al numero di rifugiati già accolti). Tanto è vero che alcuni paesi, come il Regno Unito e l’Ungheria, si sono detti opposti alla loro introduzione e sostengono che si debba andare avanti con l’applicazione rigorosa della convenzione di Dublino, secondo la quale le domande di asilo devono essere esaminate dal primo paese dell’Unione nel quale il rifugiato ha posato il piede.
Durante il Consiglio europeo erano invece concentrati sugli aspetti più “marziali”, come il rafforzamento delle pattuglie che sorvegliano le coste europee nell’ambito della missione Triton, e l’annunciata “neutralizzazione” delle barche sospettate di essere usate dai trafficanti da colpire direttamente nelle acque territoriali libiche e nei porti libici di partenza.
Un documento interno della Commissione, rivelato tra l’altro da Euobserver, indica però che la questione delle quote è stata rimessa sul tavolo delle discussioni “allo scopo di alleviare la pressione su alcuni paesi membri”, in particolare quelli di arrivo di migranti e rifugiati, come l’Italia, la Grecia o Malta, e quelli nei quali sono presentate la maggior parte delle domande d’asilo, come la Germania o la Svezia. Secondo il documento, la Commissione punta ad accogliere ventimila nuovi rifugiati all’anno nei prossimi cinque anni, come chiesto dalle Nazioni Unite.
Anche la questione dei migranti economici, sollevata davanti al parlamento europeo da Jean-Claude Juncker ad aprile, sarà messa sul tavolo, e il presidente della Commissione ha deciso di sfidare i membri della sua stessa parte politica – i conservatori del Partito popolare europeo – riaprendo un dossier considerato chiuso. Il testo in discussione il 13 maggio potrebbe quindi aprire la porta ai migranti economici dotati di competenze di cui l’Unione ha bisogno, come nel caso del settore alberghiero.
Quanto alle opzioni militari, che somigliano a una vera e propria politica di containment, l’alta rappresentante per la politica estera dell’Unione, Federica Mogherini, è andata a illustrarle l’11 maggio ai membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che dovranno esprimersi nei prossimi giorni. Avrà il pieno sostegno del Regno Unito, dove il premier appena rieletto, David Cameron, aveva promesso di ridurre il numero degli immigrati durante la campagna elettorale sull’onda dell’annunciato successo del partito antimmigrazione Ukip. Si tratta, scrive The Times, della “prima battaglia” del secondo mandato di Cameron da premier.
Non sarà tuttavia facile persuadere i membri del Consiglio di sicurezza della fondatezza politica e giuridica di un intervento, di cui lo stesso Ban Ki-Moon non è convinto. Per il segretario generale dell’Onu infatti “non c’è soluzione militare alla tragedia nel Mediterraneo”.
Il fatto poi che l’unico governo libico riconosciuto dai paesi dell’Unione non controlli in questo momento le zone da cui partono i barconi e i gommoni carichi di migranti non facilita le cose. Inoltre, le autorità libiche, le uniche autorizzate a consentire questo tipo di operazioni nelle loro acque territoriali, si sono espresse contro l’intervento europeo.
L’unica soluzione, secondo fonti diplomatiche citate dall’Afp, sarebbe di affrontare i barconi nelle acque internazionali. Ma la Russia ha già fatto sapere che si opporrà a questo tipo di intervento. Davanti agli ambasciatori dei paesi membri del Consiglio di sicurezza l’alta rappresentante ha ribadito quanto l’Italia ripete da tempo, e cioè che la questione va affrontata in collaborazione con i paesi della regione e con la comunità internazionale. “Risolvere la questione è responsabilità europea, ma è anche una responsabilità globale”, ha dichiarato Mogherini, e non si può che essere d’accordo, se non fosse che sono anni che questo discorso non porta frutti.
“La nostra priorità è di salvare vite umane”, ha aggiunto Mogherini al Consiglio, “una situazione eccezionale richiede una risposta eccezionale e coordinata”, ricordando che “non si tratta solo di un’emergenza umanitaria, ma anche di una crisi di sicurezza, poiché le reti dei trafficanti sono legate e, a volte, finanziano attività terroristiche”.
Ma è legittimo chiedersi se la situazione attuale sia davvero eccezionale o se, in assenza di cambiamenti radicali nei paesi di provenienza dei rifugiati, non sarà piuttosto la regola.
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