Le tensioni che dividono Charlie Hebdo
Quattro mesi e mezzo dopo gli attacchi contro Charlie Hebdo e contro il supermercato kosher a Parigi, non si può dire che le cose vadano benissimo per il giornale satirico. Dopo aver battuto il record assoluto di vendite in Francia, con più di sette milioni di copie vendute per il primo numero successivo all’attentato, e dopo aver raccolto circa 4,3 milioni di euro di donazioni, “Charlie” sta attraversando un periodo di profonda crisi.
Il 19 maggio Luz ha annunciato che lascerà la rivista a settembre: a 43 anni, il vignettista che si è salvato dal massacro del 7 gennaio perché si era alzato tardi e che da allora vive con la scorta 24 ore su 24, ha detto di “non riuscire più a interessarsi all’attualità” e che “ogni chiusura è una tortura”.
In preda a una profonda crisi di ispirazione e a una depressione latente, Luz ha pubblicato negli stessi giorni Catharsis (Futuropolis editore), una graphic novel che l’autore definisce “un trattato di psicanalisi illustrato”, in cui racconta i giorni seguiti all’attentato e il magone – soprannominato Ginette – che da allora lo attanaglia. Ispirato alle Idées noires di André Franquin (Fluide Glacial editore), realizzato mentre il geniale creatore di Gaston Lagaffe e di Spirou era in depressione, Catharsis ha “salvato Luz dalla follia”, scrive Le Monde.
Il trauma del 7 gennaio ha provocato delle tensioni in seno alla redazione di Charlie Hebdo, che emergono anche dalla polemica scoppiata tra Luz e Jeannette Bougrab. L’ex sottosegretaria di stato (nel governo di François Fillon), che aveva dichiarato di essere la compagna di Charb, il direttore del settimanale rimasto ucciso nell’attentato, ha accusato Luz di essere un “mediocre, un usurpatore” e di “finire il lavoro” degli assassini gettando la spugna.
Parole dure, alle quali Luz si è rifiutato di rispondere direttamente, ma che rivelano il sentimento di una parte di coloro che hanno fatto di Charlie Hebdo un simbolo della resistenza contro l’oscurantismo e il fondamentalismo. Un peso troppo pesante per Luz e diversi sopravvissuti alla strage, come spiega il disegnatore: “La gente è affascinata dall’idea che siamo degli eroi, e dimentica che prima di fare un disegno si riflette. Invocano lo spirito di Charlie per qualsiasi motivo. Non siamo eroi, non lo siamo mai stati, non l’abbiamo mai voluto”.
Alle tensioni postraumatiche si sono aggiunte quelle legate al formidabile slancio di solidarietà, che si è concretizzato nei milioni di euro piovuti nelle casse di un giornale che era sempre andato avanti con pochissimi mezzi (contrariamente al ben più ricco concorrente Le Canard Enchaîné). Se la direzione ha chiaramente detto che i 4,3 milioni di euro di donazioni “saranno integralmente versati ai parenti delle vittime”, compresi i feriti, la commissione che dovrebbe stabilire la ripartizione della somma non è ancora stata messa in piedi. La direzione non si è espressa neanche sulla destinazione degli oltre 12 milioni di euro di proventi delle vendite e dei nuovi abbonamenti.
Sulla questione la redazione è divisa: una quindicina di dipendenti ha chiesto che lo statuto della società sia rivisto, perché al momento l’intero capitale è controllato dall’attuale direttore Riss e dagli eredi di Charb (40 per cento ciascuno) e dal direttore finanziario Eric Portehault (20 per cento).
In un intervento su Le Monde, i dipendenti hanno dichiarato di voler “rifondare” il giornale per salvarsi dal “veleno dei milioni”, creando una cooperativa in cui i lavoratori avrebbero pari diritti, allo scopo di garantirne l’indipendenza e di mantenerne lo spirito. Per loro è l’unico modo di evitare il ripetersi di quanto accaduto nel 2007, quando l’allora direttore Philippe Val e il disegnatore Cabu (ucciso il 7 gennaio) intascarono più di 300mila euro di dividendi senza dire nulla ai colleghi. In un comunicato la direzione ha precisato che si è impegnata a non percepire dividendi sui profitti.
Tra i firmatari dell’intervento c’è la giornalista francomarocchina e militante antifondamentalista Zineb el Rhazaoui, al centro di una nuova polemica dopo essere stata minacciata di licenziamento. La direzione accusa El Rhazaoui, che ha firmato con Charb il fumetto La vita di Maometto e vive sotto scorta da quando è stata minacciata di morte dai fondamentalisti, di non rispettare orari e tempi di consegna dei pezzi e di “compromettere il funzionamento della redazione”.
L’interessata si è detta “scandalizzata” dalle accuse e ha affermato che le sue nuove condizioni di vita, definite “caotiche”, non le consentono di lavorare decentemente. El Rhazaoui accusa anche la direzione di essere poco trasparente sulla gestione dei milioni recentemente piovuti e di aver affidato “il prezzo del sangue agli avvocati anziché ai dipendenti e alle vittime”. In un recente intervento televisivo, Portehault ha tentato di stemperare le tensioni affermando che le somme raccolte saranno davvero distribuite ai sopravvissuti, alle vittime e ai loro parenti. Portehault ha anche auspicato che il giornale ritrovi la “serenità” necessaria e che cessi l’attuale esposizione mediatica.
Non sarà facile, dato che ormai “Charlie” è diventato suo malgrado un simbolo planetario della libertà di espressione e che in tanti, amici e nemici, gli puntano gli occhi addosso.