Lo scandalo che coinvolge la Volkswagen, che ha ammesso di aver manipolato i sistemi di rilevamento delle emissioni di alcuni motori diesel ed è stata costretta a richiamare milioni di vetture, ha messo in luce un aspetto del mondo dell’imprenditoria tedesco poco noto all’opinione pubblica: l’elevata tendenza alla corruzione e alla frode.
Una tendenza che appare in contrasto con l’atteggiamento moralizzatore delle autorità tedesche nella crisi greca – la Germania è stata la capofila dei paesi che mostravano scarsa fiducia nella volontà della Grecia di rispettare i patti – e più in generale con l’immagine che gli europei hanno del mondo degli affari tedesco e dei suoi prodotti: rigorosi, seri, affidabili.
Eppure, da anni, diversi studi hanno evidenziato che il livello di integrità degli imprenditori tedeschi non è diverso da quelli dei tanto vituperati colleghi meridionali.
Un sondaggio realizzato per conto della Commissione europea sugli atteggiamenti imprenditoriali in Europa nei confronti della corruzione e pubblicato all’inizio del 2014 ha rivelato che più della metà delle aziende interrogate ritiene che in Germania, di regola, le gare d’appalto siano truccate o con il vincitore già definito.
Una percentuale simile ritiene che nella comunità imprenditoriale tedesca il clientelismo verso amici e familiari sia molto diffuso. Dei dati ancor più sorprendenti perché la Germania è spesso paragonata ad altri paesi dell’Ue lodati per la loro irreprensibilità, come la Danimarca, la Svezia, il Regno Unito o la Francia, e questi risultati si avvicinano piuttosto a quelli della Romania o dell’Italia, due paesi non esattamente al vertice per quanto riguarda l’integrità reale o percepita.
Gli appalti pubblici tedeschi sono estremamente vulnerabili alla corruzione
Benché considerata uno dei paesi meno corrotti secondo i criteri della Banca mondiale e di Transparency international la Germania ha un vero problema con la trasparenza, afferma un recente rapporto realizzato da Roberto Martínez B. Kukutschka, ricercatore dell’European research centre for anticorruption and state-building (Ercas) di Berlino.
Kukutschka ha scoperto che gli appalti pubblici tedeschi, che creano un giro di affari in media di 370 miliardi di euro all’anno e ne fanno i campioni europei del settore, sono estremamente vulnerabili alla corruzione, in particolare per quanto riguarda le gare di valore inferiore alle soglie fissate dalle norme europee, molto più rigorose di quelle nazionali per quanto riguarda il rispetto delle procedure.
Sorveglianza difficile
Le cause principali sono i sistemi obsoleti utilizzati per la raccolta e la pubblicazione dei dati, l’uso sporadico di piattaforme elettroniche, la complessità delle norme e l’assenza di una legislazione unificata a livello nazionale.
Il risultato è che imprese, mezzi d’informazione e organizzazioni della società civile faticano a esercitare la dovuta vigilanza sugli appalti. Per parte sua, la corte dei conti federale, insieme ai suoi uffici locali, ha pubblicato una quantità di rapporti nei quali si critica l’abitudine delle amministrazioni di aggirare la legge concedendo appalti con procedure dirette oppure omettendo di pubblicare le informazioni sulle gare per favorire alcune imprese “amiche”.
In questo momento nel mirino c’è la Volkswagen, ma non è l’unica grande azienda tedesca a essere accusata di truffa e corruzione. Un altro recente rapporto realizzato da due studiose statunitensi sempre per Ercas, rivela che le strategie usate dalla Siemens per conquistare i mercati esteri non hanno nulla da invidiare alle più aggressive imprese locali.
Anzi, la multinazionale di Monaco di Baviera si dimostra capace di adeguarsi con facilità alle usanze locali per quanto riguarda le bustarelle e le pressioni sulle autorità. Non a caso, ricordano, è indagata in circa 25 paesi. E, poiché è impensabile per i giganti come Siemens di rinunciare ad alcuni mercati strategici, tendono a cercare modalità di dissimulazione sempre più complesse per operare nei mercati “corrotti”.
Con la globalizzazione le barriere nazionali contro la corruzione non funzionano più
Uno studio della Ross school of business dell’università del Michigan attribuisce parte della responsabilità di questa situazione alla struttura delle grandi imprese tedesche, nelle quali i dipendenti e i governi locali sono anche azionisti. Di conseguenza i dipendenti e la direzione hanno gli stessi interessi e questo cameratismo non è adatto ad alimentare una cultura della trasparenza.
Nel caso della Siemens, “anche se le leggi tedesche sono cambiate e dicono chiaramente che corrompere un governo straniero è illegale, l’azienda ha continuato a pagare bustarelle perché, come ha dichiarato un dirigente, i dipendenti erano convinti di doverlo fare per evitare di mandare in rovina l’impresa”.
“Il controllo della corruzione si crea a livello nazionale”, spiega Alina Mungiu-Pippidi, direttrice di Ercas e docente presso la Hertie school of governance, che forma dirigenti di livello internazionale: “È un sistema che nasce e si sviluppa sul lungo periodo per impedire ai potenti di falsare la concorrenza e di saccheggiare le risorse pubbliche. Ma con l’avvento della globalizzazione questo meccanismo si è inceppato, perché le barriere nazionali alla corruzione non funzionano più”.
La corruzione è spesso giustificata dalla necessità di “aprire i mercati” ad aziende che fanno affari con paesi più corrotti che ne controllano l’accesso. In questo modo, denuncia Mungiu-Pippidi, pratiche disoneste accettate nei paesi più corrotti si diffondono anche all’interno dei mercati più competitivi e trasparenti.
Sta all’opinione pubblica e ai mezzi d’informazione vigilare sull’integrità del mondo imprenditoriale, sostiene la ricercatrice. Per questo, afferma, i tedeschi devono abbandonare il loro senso di superiorità quando si tratta di mondo delle imprese. E soprattutto, conclude, “i giovani devono agire quanto prima, se non vogliono dover ammettere che l’onestà delle imprese tedesche è solo una leggenda risalente all’epoca dei loro nonni”.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it