Il 4 marzo François Hollande ha consegnato la Legion d’onore al principe ereditario e ministro dell’interno dell’Arabia Saudita, Mohammed bin Nayef, durante una cerimonia discreta quanto controversa al palazzo dell’Eliseo.
Il presidente francese era infatti ben consapevole delle critiche che l’evento avrebbe scatenato – giunte puntuali – vista la pessima reputazione dell’Arabia Saudita in materia di diritti umani e non gli ha dato rilievo. Dall’inizio dell’anno Riyadh ha giustiziato 70 persone, di cui l’ultima è stata decapitata il 6 marzo.
E proprio per evitare le critiche la consegna della decorazione non è stata oggetto di nessun comunicato da parte della presidenza della repubblica. E probabilmente sarebbe passata inosservata se l’agenzia di stampa saudita Spa non l’avesse menzionata.
Le critiche al gesto di Hollande sono piovute sia dalla classe politica, con poche distinzioni di schieramento, sia dai social network.
Interrogato sulla vicenda il ministro degli esteri Jean-Marc Ayrault ha dichiarato che si trattava di rispettare “una tradizione diplomatica” e che “non c’è stato nulla di solenne” nella decorazione, pur “capendo” le reazioni negative. L’Eliseo ha precisato che lo stesso Hollande era stato “decorato con l’ordine supremo del reame” durante una recente visita in Arabia Saudita.
Nel 2014 la Francia ha venduto ai sauditi armi per 3,63 miliardi di euro
La vicenda è emblematica del rapporto quasi schizofrenico che la Francia – come molti paesi occidentali – intrattiene con regimi autoritari, e in particolare con i regimi arabi e l’Arabia Saudita in primis. Per la Francia l’Arabia Saudita è uno dei “clienti” migliori (nel 2015 ha firmato contratti per 11,5 miliardi di euro), in particolare nel settore degli armamenti e della difesa: nel 2014 ha venduto ai sauditi armi per 3,63 miliardi di euro e Riyadh è un’alleata essenziale degli occidentali all’interno della coalizione contro l’organizzazione Stato islamico in Siria.
Questo forte legame commerciale ha fatto sì che, tranne che per le organizzazioni per i diritti umani, pochi in Francia si scandalizzassero degli stretti rapporti che vari governi, indipendentemente dal colore politico, hanno intrattenuto con l’Arabia Saudita.
A sconvolgere parzialmente il quadro sono intervenuti prima gli attacchi dell’11 settembre e la guerra al terrorismo, quando si è scoperto che elementi dello stesso regime saudita finanziavano Al Qaeda. In seguito, le “primavere arabe” hanno sconvolto i rapporti con quei regimi – come la Tunisia, l’Egitto, la Libia o la Siria – le cui credenziali democratiche non erano in regola, ma che rimanevano legati alla Francia da antiche amicizie, e da succosi contratti.
Gli affari sono affari
Una prima incrinatura è avvenuta con la controversa visita a Parigi di Muammar Gheddafi nel 2007, durante la quale la tenda da beduino piantata dal leader libico nei giardini dell’Hotel de Marigny, a due passi dall’Eliseo, illustrava bene il rapporto di forza con l’allora presidente Nicolas Sarkozy.
Un altro inciampo c’era stato poco prima della caduta del presidente tunisino Zine el Abidine Ben Ali, nel novembre del 2011: l’allora ministra degli esteri Michèle Alliot-Marie propose al regime “il savoir-faire dei poliziotti francesi” per “regolare le questioni di sicurezza” e contribuire alla repressione dei movimenti democratici. Alliot-Marie fu costretta a dimettersi poco dopo perché la sua posizione era diventata insostenibile anche per il governo.
La Francia non è certo l’unico paese occidentale a fare affari con regimi meno che raccomandabili, ma è uno di quelli che più ha puntato sulle esportazioni verso di essi, al punto che il ministro della difesa Jean-Yves Le Drian, uomo molto vicino a Hollande, è diventato il principale rappresentante dell‘“azienda Francia” all’estero.
In tempi di crisi economica, di globalizzazione e di fronte a una disoccupazione fuori controllo, la Francia non può permettersi di rinunciare a un settore che tira, nel quale è competitiva e ha un vero savoir-faire in sede negoziale. Al punto che lo stesso presidente della repubblica non viaggia mai nei paesi “clienti” senza essere accompagnato da un folto gruppo di industriali.
Questo pragmatismo sarebbe meno problematico se ai francesi non piacesse ricordare che la loro è la “patria dei diritti umani”. Un’eredità e un patrimonio che sono reali, ma che mal si conciliano con la dura realtà degli affari.
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