C’è una cocciuta ricerca di musica più onirica, quasi meditativa, nelle nuove canzoni dei Black Keys. Lo si capisce subito, dall’apertura pinkfloydiana di [Weight of love][1], il primo brano di Turn blue: una bella cavalcata psichedelica che non disdegna i soliti omaggi al funk e certe fughe chitarristiche alla Neil Young.
Con il loro ottavo album, Dan Auerbach e Patrick Carney (che per chi non lo sapesse vengono da Akron, Ohio) hanno inzuppato la loro tavolozza dei colori in una bacinella blu. E hanno evitato la mossa più scontata: fare una copia di [El Camino][2], il disco che ha permesso alla band di ottenere successo in tutto il mondo.
Più si sono allontanati dal passato, migliore è stato il risultato: l’ipnotica Turn blue annoia ai primi ascolti, ma poi s’infila sottopelle e non se ne va più. Bullet in the brain, una ballata acida e morriconiana, è il pezzo migliore del lotto grazie ai suoi improvvisi cambi di ritmo.
Quando invece i Black Keys cercano il singolo a tutti i costi inciampano: In time e [Fever][3] sembrano, appunto, due scarti di El Camino. Nella seconda parte l’album perde un po’ la compattezza iniziale. Ma regala comunque altre canzoni di buon livello: It’s up to you recupera un po’ di spirito garage del passato, mentre 10 lovers ci ricorda che Dan Auerbach è anche un raffinato autore pop. Del rock blues sporco degli esordi non c’è quasi traccia.
In our prime invece ha una melodia alla John Lennon, ma chiude con un organo hammond in primo piano e un piglio garage. Poi di colpo, proprio sul finale, arriva Gotta get away, un pezzo rock tirato e senza fronzoli che piacerebbe a Bruce Springsteen.
Certo, a Turn blue manca una grande canzone. Quelle che in passato sono state Tighten up, I got mine, Thickfreakness, *Stack shot Billy,* o la stessa Lonely boy. È un disco dove i Black Keys non erano al vertice dell’ispirazione. La band è stata brava a spostare il tiro, a nascondere la stanchezza compositiva dietro gli arrangiamenti.
Forse Turn blue è l’album meno bello del duo di Akron (non il più brutto). Ma è un disco ampiamente sopra la media. E dimostra che i Black Keys, anche se non sono al top della forma, sono comunque una delle migliori rock band in circolazione.
Giovanni Ansaldo lavora a Internazionale. Si occupa di tecnologia, musica, social media. Su Twitter: @giovakarma
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it