Definire The endless river un nuovo disco dei Pink Floyd è una forzatura. L’album, che esce nei negozi il 7 novembre, è più che altro una raccolta di materiali registrati negli anni novanta durante le session di The division bell, il secondo lavoro del gruppo dopo l’abbandono di Roger Waters. Un disco che non è certo ricordato come uno dei migliori del gruppo inglese.

Con queste premesse, è difficile esaltarsi per The endless river, complice la copertina, una delle più brutte degli ultimi anni.

The endless river è, né più ne meno, un disco di musica ambientale. Una raccolta di pezzi strumentali, costruiti soprattutto sulle tastiere di Richard Wright (morto nel 2008) e gli assoli di chitarra di David Gilmour.

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Alcuni brani sono interessanti: It’s what we do ricorda un po’ la prima parte di Shine on you crazy diamond, mentre la ritmica di Sum si avvicina a Time. Ma il resto dell’album è solo una raccolta di frammenti sonori (nove brani su diciotto non superano i due minuti), che nelle intenzioni del gruppo dovrebbero creare una specie di flusso di coscienza.

Gilmour usa spesso il bottleneck e si autocita parecchio, come nelle due Allons-y. Ma non ha mai il mordente dei tempi migliori. Sul finale, dopo un bel po’ di noia, si respira un po’ con Louder than words, l’unico brano cantato, che smuove un po’ le acque.

The endless river è materiale per collezionisti e fan dei Pink Floyd. Se non fate parte di questa categoria, o non siete degli appassionati di prog rock, statene alla larga.

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