Boldy James & The Alchemist, Surf & turf
Se state cercando il miglior disco rap uscito dall’inizio dell’anno, l’avete trovato. Se avete voglia di una scrittura elegante e ispirata, ma anche cruda, che racconta la vita di strada senza eccessi retorici né spacconate gratuite, potete considerarvi soddisfatti. The price of tea in China è il nuovo album del rapper di Detroit Boldy James, realizzato insieme al produttore californiano The Alchemist (già attivo nel duo The Whooliganz e collaboratore di Eminem).

Boldy James omaggia l’hip hop degli anni novanta (soprattutto il cosiddetto boom-bap) e poggia le sue rime sui campionamenti soul di The Alchemist, davvero perfetti per la sua voce. Il risultato è un disco notturno e intimo, frutto anche di abili espedienti e collage sonori: in alcuni brani, come in Run-ins, ai versi del rapper si alternano registrazioni della radio della polizia o pezzi di notiziari televisivi sui casi di violenza negli Stati Uniti.

Tutto scorre come un unico flusso. In quel piccolo capolavoro che è Surt & turf, arricchito dall’ospitata di Vince Staples, Boldy James descrive un padre di Detroit che fa lo spacciatore e vive sempre sul filo del rasoio. L’uomo è triste perché i figli, che non lo vedono mai, pensano che lui non li ami, ma in realtà è la vita da criminale a tenerlo lontano da casa.

Nel brano di apertura, intitolato Carruth, invece torna un topos tipico del rap: “My friends came and went, but most of them was murder victims. Dead before twenty, or caught a frame and had to serve a sentence”. Gli amici del protagonista sono quasi tutti morti. Sono stati uccisi o hanno preso l’ergastolo per gli omicidi commessi, che dal punto di vista del narratore è un po’ la stessa cosa. Speed demon freestyle, uno dei pezzi più minimalisti del disco, si apre con la voce di Robert De Niro, un estratto del film Gli intoccabili. E quando si ascolta Phone bill, un inno ai vecchi amici e compagni di scorribande, viene voglia di ricominciare da capo e di riascoltarsi tutto l’album. A volte c’è poesia anche nei racconti di crimine.

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Caribou, You and I
In Suddenly, il nuovo disco di Dan Snaith, in arte Caribou, l’autore mette la sua voce al centro del mix, come se fosse un artista pop degli anni ottanta, anche se non è certo un grande cantante. Eppure la cosa funziona a meraviglia, al servizio della sua elettronica dolce.

I brani dell’album, come questo You and I, hanno cambiamenti repentini e difficili da prevedere che sono ogni volta un’epifania. Anche il modo in cui sono stati mixati crea qualche disorientamento all’inizio, ma poi si rimane come intrappolati nella loro bellezza. Suddenly è una delle cose migliori fatte da Snaith nella sua carriera. Chi vuole vederlo dal vivo avrà una buona opportunità a giugno all’Auditorium parco della musica di Roma.

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Moses Sumney, Virile
Il cantautore losangelino Moses Sumney è specializzato nei crescendo. In Virile, una delle canzoni migliori del suo nuovo album grae part 1, prima metà di un doppio album in arrivo a maggio, si capisce da subito che sta montando qualcosa. Il suo falsetto infatti parte piano e poi si espande, mentre percussioni, archi e fiati si ingrossano fino a esplodere in un finale catartico. Mi ha fatto un po’ pensare a Lonely world, meraviglioso brano contenuto nel suo esordio Aromanticism.

Virile parla di mascolinità tossica ed è quindi molto attuale, a pochi giorni di distanza dalla sentenza contro il produttore cinematografico Harvey Weinstein, per fare giusto uno dei miliardi di esempi che potremmo fare.

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Lord Buffalo, Halle Berry
I Lord Buffalo sono un gruppo folk rock di Austin, Texas. Fanno una musica cupa e adatta ai grandi paesaggi americani, siano essi i grandi deserti o le grandi praterie. S’ispirano in modo abbastanza diretto a Nick Cave, ma hanno anche il gusto austero dei 16 Horsepower di David Eugene Edwards, uno degli autori più sottovalutati della musica statunitense degli ultimi decenni.

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Ghali, Giù per terra
Il nuovo disco di Ghali, Dna, si apre con un pezzo che dura poco più di due minuti e ha una bella base prodotta da Mace e Venerus. Il finale con quel rap più a versi che a parole, fa un po’ pensare al Kanye West di Feel the love. Il testo del pezzo, tra l’altro, contiene una critica neanche troppo velata all’industria musicale (”Le major in ginocchio alle playlist mi spareranno durante uno speech”).

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P.S. Playlist aggiornata, buon ascolto!

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