Burial, Thom Yorke e Four Tet sono tornati a caccia di fantasmi
Burial, Four Tet e Thom Yorke, Her revolution/His rope
La musica di Burial e quella di Thom Yorke hanno varie cose in comune, ma soprattutto una: i fantasmi. I brani di Untrue, il capolavoro elettronico di Burial uscito nel 2007, erano infestati dagli spettri della cultura rave e del socialismo britannico, due tradizioni decadute che il disco omaggiava con il suo suono oscuro. Per spiegare la musica del producer londinese, figlia della nostalgia per un futuro mai nato, il giornalista Simon Reynolds ha scomodato addirittura il decostruzionismo del filosofo francese Jacques Derrida, che al fantasma del socialismo dedicò il suo libro Spettri di Marx. Secondo Reynolds infatti era proprio dalle macerie del ventesimo secolo che era nato lo stile di Burial, capace di rinnovare come pochi il panorama dell’elettronica nei primi anni duemila.
Thom Yorke, dal canto suo, con i fantasmi ci convive da tempo. Quando i Radiohead nel 1996 registrarono Ok computer nel maniero di St Catherine’s Court a Bath, il cantante disse che sentiva dei rumori in casa e aggiunse che dei fantasmi erano venuti a trovarlo la notte per dirgli di tagliarsi i capelli. Un po’ forse scherzava, un po’ in quel periodo le voci nella testa le sentiva davvero. In un disco successivo della band, The king of limbs, c’era un brano intitolato Give up the ghost, nel quale Yorke invocava uno spirito per implorarlo di radunare anime perdute e reietti. E due anni fa, sempre a proposito di spiriti, Yorke ha scritto la colonna sonora di Suspiria, remake del classico dell’orrore di Dario Argento. E c’è di più. Con il ventesimo secolo il cantante di Oxford ha un rapporto simile a quello di Burial: i Radiohead hanno preso il genere novecentesco per antonomasia, il rock, e l’hanno trasportato da un’altra parte, prima con Ok computer e poi definitivamente con Kid A.
Era inevitabile quindi che i percorsi di questi due acchiappafantasmi s’incrociassero, prima o poi. Era già successo nel 2011, con lo splendido singolo Ego/Mirror, reso possibile grazie all’entrata in scena di un terzo (e non meno importante) artista: Four Tet. Ed è capitato di nuovo pochi giorni fa, con l’arrivo a sorpresa del singolo in vinile Her revolution/His rope. Rispetto ai brani del 2011, siamo in territori meno dance, più astratti, con ritmiche quasi trip hop. Il secondo brano, His rope, che campiona un vecchio pezzo dello stesso Burial, Fostercare, a tratti sembra uscito fuori da Mezzanine dei Massive Attack, e ha un testo molto cupo, quasi malato. In Her revolution invece, con quel campionamento che sembra di provenienza mediorientale, sembra sentirsi molto l’influenza di Four Tet. La voce di Yorke in entrambi i brani è tenuta molto alta nel mixaggio, forse troppo, anche se ascoltarla è sempre un piacere.
Her revolution/His rope sono due ottimi brani, anche se Ego/Mirror era più convincente per il modo in cui mescolava musica da club e pop alternativo. Ma è stata comunque una bella sorpresa riceverli in questi giorni (in digitale, perché i vinili erano in edizione limitata e sono andati esauriti in un batter d’occhio). Ecco la giusta colonna sonora per le nostre storie di fantasmi di fine anno.
Sharon Jones, Just dropped in (To see what condition my rendition was in)
Sono un feticista del Grande Lebowski, capolavoro dei fratelli Coen datato 1998. Per questo ascoltare questa versione di Sharon Jones del brano Just dropped in, un classico della psichedelia reso famoso da Kenny Rogers & The First Edition (l’originale è molto diversa), mi ha emozionato. Nel film il brano appare nella scena del sogno del Drugo, nella quale Saddam gli consegna delle scarpe da bowling e succedono altre cose assurde. La compianta Sharon Jones, morta nel 2016, l’ha reimmaginata in chiave soul insieme alla sua band, i Dap-Kings. E l’ha fatto con la solita classe di cui era capace.
Omah Lay, Lo lo
La scorsa estate Apple music ha lanciato una nuova playlist che si chiama Africa rising, dedicata a tutti gli artisti emergenti del continente. In copertina c’era il nigeriano Omah Lay. Le sue canzoni sono abbastanza edoniste (l’ultimo ep s’intitola Get layd, che potremmo tradurre con “fare sesso”, anche se è una traduzione cortese, ma che è scritto con la y riprendendo il suo cognome), ma lui ha una formazione musicale molto solida, come dimostrano le parti strumentali dei suoi brani. Il nonno fu un percussionista dello storico cantante highlife Celestine Ukwu. Il suo genere è l’afro-fusion, uno stile tipico dell’Africa occidentale che ha reso famoso un altro cantante di Port Harcourt, Burna Boy.
Drakeo The Ruler, We know the truth
Dopo aver registrato un disco dal carcere, dov’è stato più di tre anni, il rapper californiano Drakeo The Ruler ora è uscito e celebra il ritorno a casa con un album nuovo. La ricetta è la solita, gangsta rap con drum machine minimaliste a tinte g-funk e testi oscuri.
The Arctic Monkeys, 505 (live at the Royal Albert Hall)
Gli Arctic Monkeys hanno pubblicato un disco dal vivo, i cui ricavati andranno in beneficenza: Arctic Monkeys. Live at The Royal Albert Hall finanzierà War Child Uk, per aiutare l’associazione a coprire il deficit di due milioni di sterline causato dall’impatto devastante del covid-19 sulla loro raccolta fondi. Una bella iniziativa. Oltretutto il concerto londinese documenta il tour di Tranquillity base Hotel & Casino, il loro disco più sottovalutato. E questo brano, 505, estratto dal secondo disco del gruppo, è tra i più belli mai scritti da Alex Turner.
P.S. Il pezzo di Burial e compagnia non è su Spotify, purtroppo.
Internazionale ha una newsletter settimanale che racconta cosa succede nel mondo della musica. Ci si iscrive qui.