Tom Skinner porta buone notizie
Facendo il confronto con il panorama un po’ appannato dei jazz club italiani, si prova una certa invidia a pensare alla scena jazz londinese. Sono anni che nei locali della capitale britannica, in posti come il 606 Club o il Brilliant Corners, circolano musicisti e idee che hanno conquistato il mondo. Nomi come Shabaka Hutchings (leader dei progetti Sons of Kemet, The Comet Is Coming e Shabaka and the Ancestors), Yussef Kamaal, Nubya Garcia e Moses Boyd sono diventati dei punti di riferimento assoluti. E poi ci sono musicisti come Tom Skinner, che magari si sono conquistati qualche titolo in meno rispetto ai colleghi ma hanno dato un contributo fondamentale alla scena.
Skinner, percussionista e produttore di grande talento, ha fatto la spola tra il jazz e la musica pop: ha suonato per anni con la leggenda del jazz etiope Mulatu Astatke, ha dato un contributo fondamentale ai Sons of Kemet, ha esplorato l’elettronica con il progetto Hello Skinny e di recente si è unito a Thom Yorke e Jonny Greenwood per fondare il trio The Smile. Il 4 novembre Skinner ha pubblicato il primo album a suo nome, Voices of Bishara. Per registrarlo ha radunato il meglio della scena londinese, a partire proprio da Shabaka Hutchings e Nubya Garcia al sassofono e al clarinetto. Insieme a loro ha coinvolto Kareem Dayes (violoncello) e Tom Herbert (contrabbasso).
La fonte d’ispirazione principale di Voices of Bishara sono altri due dischi jazz: Life time di Tony Williams e By myself del violoncellista Abdul Wadud. “L’album di Tony Williams ha innescato tutto, dandomi l’opportunità di mettere insieme questi musicisti, anche se in realtà siamo amici da anni. Ci siamo ritrovati una sera al Brilliant Corners, un locale dove suoniamo spesso. Il proprietario ama il jazz, ha un impianto da audiofili e organizza queste serate che si chiamano Kind of new. Funzionano così: prima si ascolta un disco in una stanza buia, poi si fa una pausa e un gruppo di musicisti lo reinterpreta a modo suo”, racconta Tom Skinner in collegamento su Zoom da Londra. “Dopo quella serata, in cui abbiamo suonato proprio Life time, mi è venuta l’idea di mettere insieme un gruppo di amici per fare un disco, così ho cominciato a comporre. Abdul Wadud è stato una guida fondamentale, perché mi ha mostrato che ruolo poteva avere il violoncello nel mio quintetto. Ho scoperto il suo disco solista By myself durante la pandemia e l’ho ascoltato in modo ossessivo. Ho preso in prestito il titolo dall’etichetta di Wadud, la Bishara Records. Mi piaceva il significato della parola bishara, che in arabo significa ‘buone notizie’ o ‘portatore di buone notizie’. Mi sembrava il giusto titolo, soprattutto in un momento buio come questo”.
Voices of Bishara è un disco molto ispirato, che trae la sua forza da un approccio al jazz al tempo stesso classico (certi suoni riportano agli anni settanta) e contemporaneo (in brani come The journey si sentono ritmiche quasi dub). Ma qual è stato il collante tra le canzoni secondo Skinner? “La molla che fa scattare tutto è sempre la connessione umana. Quando abbiamo registrato Voices of Bishara c’era molta positività in studio, avvertivo un’intesa profonda tra di noi. Non mi va di mettere questa musica nella categoria ‘jazz spirituale’, ma penso che sia stato proprio grazie al rapporto profondo con Shabaka e gli altri se il disco è venuto così bene”.
A proposito di rapporti umani, come stanno andando le cose con Thom Yorke e Jonny Greenwood? Gli Smile, dopo aver pubblicato nei mesi scorsi l’album A light for attracting attention e aver girato l’Europa, sono pronti per un tour negli Stati Uniti. E, a quanto dice Skinner, hanno in cantiere anche della nuova musica. “Con Thom e Jonny sta andando benissimo. Fare musica con loro è come avere una conversazione a tre che non si ferma mai. Stiamo tutti imparando gli uni dagli altri, e c’è ancora molto da esplorare. Il tour ci ha permesso di sviluppare al meglio la nostra identità e l’anno prossimo succederanno sicuramente delle cose. Stiamo lavorando su alcuni brani nuovi e spero che a un certo punto nei prossimi mesi torneremo in studio per registrarli. Ma al momento non posso dire altro, mi dispiace”, dice ridendo Skinner.
Parlando della scena jazz di Londra, invece, Skinner fa una riflessione: “Abbiamo raggiunto un pubblico molto più ampio, non solo nel Regno Unito ma anche nel resto d’Europa e negli Stati Uniti. Io ho qualche anno in più dei musicisti che mi hanno accompagnato in Voices of Bishara, quindi mi rendo conto che le radici di quello che sta succedendo ora risalgono a tanti anni fa, perfino alla generazione precedente alla mia. C’è stato il tempo di far evolvere la musica, di farla maturare e adattarla a un pubblico più giovane. Il Regno Unito, e Londra in particolare, è un posto fertile oggi, non solo nell’ambito jazz, perché è un posto dove s’incontrano culture e sensibilità diverse. Nella mia musica si mescolano senza distinzione la classica, il rock, il grime e l’elettronica”.
Ora che il disco è uscito, cosa bisogna aspettarsi dal progetto solista di Skinner? “Mi piacerebbe molto portarlo dal vivo, anche se non ho ancora fissato delle date. E magari passerò anche dall’Italia, perché no?”, risponde il batterista.
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