Tra i tanti argomenti di cui si occupò Antonio Gramsci c’è anche il prezzo dei quotidiani. L’intellettuale comunista spiegava che non dev’essere troppo basso, perché indica il valore – non solo economico – che l’editore attribuisce al suo giornale. Gramsci non era un esperto di marketing, ma il suo ragionamento non fa una piega. Oggi, però, il prezzo che paghiamo per i giornali copre solo i costi di carta e stampa: il resto (giornalisti, amministrazione, distribuzione) è sostenuto dalla pubblicità, che ormai supera il 50 per cento dei ricavi (ma non sempre: nel caso di Internazionale, per esempio, la pubblicità non arriva al 10 per cento). Ottant’anni dopo Gramsci, i giornali sono su internet. E c’è chi sostiene che sarebbe giusto se in rete tutti i contenuti editoriali fossero gratuiti, perché il loro costo è largamente compensato dalla pubblicità. Ma così rischia di diventare più difficile misurare il valore che attribuiamo all’informazione.
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