Venerdì scorso Yoani Sánchez è stata aggredita e picchiata all’Avana. Stava andando a una manifestazione per la pace in compagnia di tre amici. Da un’auto nera sono scesi degli uomini che le hanno ordinato di salire a bordo. L’hanno spinta, strattonata e hanno cominciato a picchiarla per costringerla a entrare in macchina. “Adesso la finirai di fare pagliacciate”. L’hanno sequestrata per venti minuti e poi l’hanno scaricata in una strada laterale. Fin qui la prima parte. Ora arriva la seconda. Quelli che hanno detto che doveva aspettarselo. Quelli che hanno scritto che in fondo se l’è cercata. E alla fine, naturalmente, quelli che sostengono che s’è inventata tutto e che il suo racconto non sta in piedi, poco importano i tre amici che hanno confermato l’aggressione: fanno parte della messinscena anche loro. La tecnica è la solita: trasformare la vittima in colpevole. Senza mai entrare nel dettaglio, solo sospetti generici. D’altra parte se c’è chi è arrivato a mettere in dubbio gli attentati dell’11 settembre, prendersela con una blogger cubana è un gioco da ragazzi.
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