L’anno scorso gli americani hanno passato in media 11,8 ore al giorno consumando informazione: dalla tv ai libri, da internet al telefono, dalla radio ai giornali, dalla musica ai videogiochi. In tutto hanno consumato 3,6 zettabyte di dati. Uno zettabyte equivale a mille miliardi di gigabyte. Ovvero a circa 180 milioni di volte i dati conservati nella biblioteca del congresso di Washington. Secondo l’Università della California, che ha condotto questo studio, è il triplo di quanto consumato nel 1980. Gli americani sono sommersi da un flusso continuo di informazioni. Ma si occupano soprattutto dei fatti di casa loro: solo il 3 per cento di tutti i libri pubblicati negli Stati Uniti sono traduzioni di romanzi o saggi stranieri. Il risultato è un’inevitabile riduzione della varietà, della diversità, della complessità della loro immagine del mondo. Sarà anche per questo che, in un articolo uscito il 29 dicembre, l’International Herald Tribune annuncia la scomparsa dell’idea di sorpresa: dopo un fatto straordinario come l’elezione di un nero alla presidenza degli Stati Uniti, scrive Mark McDonald, “cos’altro può sorprenderci?”.

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