“Autorevole” è la parola usata di solito quando si parla di un giornale che vende poco ma è letto soprattutto dall’élite politica, economica e intellettuale di un paese. E “autorevole” è infatti la parola che David Remnick usa più spesso a proposito di Ha’aretz. Il direttore del New Yorker ha passato un po’ di tempo nella redazione del quotidiano israeliano e in un lungo reportage fa un ritratto dei suoi giornalisti. “Suppongo che anche un incontro tra Mike Tyson e un bambino di cinque anni possa chiamarsi ‘boxe’, ma è giusto conservare il senso delle proporzioni”. Gideon Levy è, insieme ad Amira Hass, una delle firme di punta di Ha’aretz. La sua definizione del conflitto tra israeliani e palestinesi è la fotografia più chiara di quello che succede in Medio Oriente, ma anche dell’impossibilità di restare neutrali, di considerare sullo stesso piano le due parti in guerra, di applicare criteri di presunta oggettività ed equilibrio a un conflitto che di equilibrato non ha nulla. Remnick spiega bene quanto sia lacerante per i giornalisti di Ha’aretz svolgere la loro funzione di coscienza critica di Israele e racconta l’ostinazione del suo editore, Amos Schocken, che pur di dire la verità non si preoccupa di perdere qualche lettore. Ha’aretz è il giornale che ogni paese civile dovrebbe avere.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it