Ho una domanda seria alla redazione: accettate di pubblicare tutte le pubblicità che arrivano o siete selettivi?–Dyaa Ajkabache

In tanti anni ci è capitato di rifiutare solo qualche pubblicità, perché offensiva o volgare, ma si è trattato di casi isolati. Accettare gran parte della pubblicità, però, non vuol dire approvarla o pensare che l’azienda che ha comprato la pagina sia la migliore del mondo.

In un saggio molto interessante uscito di recente, Post industrial journalism, di cui abbiamo già parlato, gli autori scrivono: “La cosa più importante da dire sulla relazione tra pubblicità e giornalismo è che non c’è nessuna relazione. Il legame tra inserzionista ed editore non è una partnership, è una transazione economica, in cui l’editore ha l’ultima parola. Gli inserzionisti non hanno scelta, e finché avranno bisogno degli editori per essere visibili, gli editori potranno usare i ricavi della pubblicità per pagare il giornalismo, indipendentemente dalle preferenze degli inserzionisti. A Nine West (un produttore di scarpe, ndr) non interessa tenere aperto l’ufficio di corrispondenza di Washington, vuole solo vendere scarpe. Ma per raggiungere i suoi potenziali clienti, deve pagare un’organizzazione a cui interessa la redazione di Washington”.

Nel caso di Internazionale c’è da aggiungere che la pubblicità incide solo per l’11 per cento dei ricavi (nei settimanali d’attualità di solito è il 50 per cento, e infatti hanno molte più pagine di pubblicità). Vuol dire che l’89 per cento dei nostri stipendi è pagato dai lettori. E dato che la casa editrice è in attivo, siamo contenti di non dipendere troppo dagli inserzionisti.

La pubblicità ci è utile per migliorare il giornale, ma soprattutto per tenere fermo il prezzo di copertina, che non aumenta dal 2001. Dodici anni. Non male, no?

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