Quando si parla di internet bisognerebbe sempre ricordare che nel mondo le persone che usano la rete sono una minoranza: esattamente il 39 per cento, secondo le stime dell’International telecommunication union.
In Italia l’ultimo rapporto dell’Istat dice che ventidue milioni di persone non hanno mai usato internet. È il 38,3 per cento della popolazione, che sale addirittura al 74,8 per cento tra gli italiani dai 65 anni in su.
In Europa ci sono paesi vicini alla saturazione (Paesi Bassi, Lussemburgo, Svezia, Danimarca), dove cioè quasi tutti usano la rete, mentre l’Italia è al terzultimo posto. Accanto alla Grecia e poco prima della Bulgaria.
E sempre parlando di internet bisognerebbe anche ricordare che il web non contiene tutto, e quello che c’è tende a sparire nel tempo. Jill Lepore sul New Yorker spiega che la vita media di una pagina web è di circa cento giorni.
Le pagine web spariscono perché vengono cancellate, modificate, oppure perché le società che le ospitano chiudono, falliscono, sono vendute. Una ricerca condotta negli Stati Uniti nel 2013 ha scoperto che nel giro di sei anni il 50 per cento dei link citati da giudici e avvocati nelle prove e nei documenti presentati in tribunale non funziona più, cioè la pagina web a cui puntano non è più online.
L’instabilità e la precarietà del web possono essere un problema nel caso delle prove, ma possono rivelarsi una vera fortuna per le sciocchezze.
Questo articolo è stato pubblicato il 30 gennaio 2015 a pagina 3 di Internazionale, con il titolo “Tempo”. Compra questo numero | Abbonati
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