Il 15 marzo era il quinto anniversario dell’inizio della guerra siriana. Più di 220mila morti e metà della popolazione sfollata. Barry Malone, editor online della rete televisiva Al Jazeera, ha scritto un commento intitolato: “Probabilmente non leggerete quest’articolo sulla Siria”.

Racconta che quel giorno hanno pubblicato sul sito tantissimi contenuti che parlavano di Siria: video, opinioni, disegni, tabelle e cartine, interviste, reportage. Ma il numero di persone che li hanno letti è stato molto più basso di quello che si sarebbero aspettati. Mentre osservavano in tempo reale l’andamento del traffico online, hanno cominciato a farsi delle domande. Forse gli anniversari non suscitano grande interesse, forse altri siti avevano fatto un lavoro migliore, forse la qualità dei loro articoli non era buona.

Oppure ai lettori non interessa più quello che succede in quel paese. C’è stanchezza per conflitti e emergenze che si succedono una dopo l’altra e tornano ciclicamente a reclamare l’attenzione dell’opinione pubblica: l’Iraq e Gaza, la Libia e la Nigeria, l’Ucraina e la Somalia. Ogni conflitto è importante, ogni guerra merita di essere raccontata.

I giornalisti di Al Jazeera hanno denunciato su Twitter il disinteresse generale per la Siria. Molte persone hanno ritwittato l’accusa, ma solo pochi hanno cliccato sul link per leggere gli articoli: “Forse volevano solo far vedere che a loro importa qualcosa”. È chiaro che colpevolizzare i lettori è inutile e forse addirittura controproducente. Ma è anche vero che proprio il moltiplicarsi delle crisi richiede un’opinione pubblica informata e consapevole.

Informare sulle guerre anche quando sembra che non importi niente a nessuno è un dovere dei giornalisti. Capire come riuscire a far leggere quell’articolo sulla Siria è un problema che riguarda tutti.

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