Sembra un dettaglio ma forse non lo è. Giornalisti e commentatori hanno spesso la tendenza ad aggiungere “radicale” dopo la parola “sinistra” ogni volta che si parla di Alexis Tsipras o Pablo Iglesias, e oggi di Jeremy Corbyn. In realtà non bisognerebbe aggiungere nulla, e smettere invece di definire di sinistra tutti quei partiti europei che pur provenendo da un percorso comune hanno finito per allontanarsene così tanto, per passaggi e strappi successivi, da aver perso ogni traccia della loro storia.

Da molti punti di vista una persona come Matteo Renzi è più vicina a Sergio Marchionne – perfino nel linguaggio del corpo – che agli operai che lavorano negli stabilimenti della Fiat. Ma non è questo il punto. Il fatto è che sul nostro pianeta una grandissima maggioranza di persone vive in condizioni inaccettabili, con gradi di povertà che variano a seconda della latitudine e del colore della pelle. E non c’è bisogno di scomodare nessun filosofo tedesco dell’ottocento. A dirlo sono, da anni ormai, gli studi delle agenzie della Nazioni Unite, il lavoro sul campo delle organizzazioni non governative, ma anche chiunque non chiuda gli occhi di fronte al fiume di persone che spinge alle porte dei paesi più ricchi.

Leggendo gli indicatori di scolarizzazione, salute, speranza di vita alla nascita, pil pro capite, accesso a servizi essenziali o libertà di movimento ci vuole coraggio per definire il mondo in cui viviamo un mondo giusto. Alexis Tsipras, Pablo Iglesias o Jeremy Corbyn saranno forse inadatti, avranno fatto e faranno errori, ma chi li ha scelti e votati ha solo cercato di ricordare che finora il capitalismo è stato un disastro, anche se costellato di invenzioni e innovazioni stratosferiche.

Questo articolo è stato pubblicato il 18 settembre 2015 a pagina 5 di Internazionale, con il titolo “Sinistra”. Compra questo numero | Abbonati

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