Commentando l’idea che i cittadini siano trattati come sudditi, di cui si parlava qui la settimana scorsa, Adriano Sofri sul Foglio esprime la sua perplessità sull’auspicio che una ribellione possa servire a riscattare la politica: “Non so da quanti anni i sudditi non fanno che ribellarsi, e interpretare la propria parte come una ribellione via via più rabbiosa alla cattiva politica – e via via alla politica tutta intera, tutta cattiva”.
E aggiunge: “Però sento in questa lunga e travisata ribellione ondeggiante da una parte all’altra fino ad annullare le differenze fra una parte e l’altra una frustrazione, un coltivato vittimismo, una delega rancorosa alla demagogia e ai suoi piazzisti”.
Secondo Sofri, cattiva politica e cattiva ribellione finiscono per alimentarsi a vicenda. È vero, ma il rischio è di cadere in una trappola e di non dire le cose come stanno per evitare di fiancheggiare la peggior demagogia. Bisogna invece riuscire ad affermare che, pur combattendo con vigore ogni populismo, il modo con cui chi ci governa interpreta il suo ruolo non va più bene. E un nodo importante è quello della politica come momento di formazione. A lungo sono stati i partiti a garantire la selezione e la preparazione delle classi dirigenti, in Europa e altrove. Oggi che i partiti hanno smesso di svolgere questa funzione, non c’è più nessuno a farlo.
Potrebbero pensarci la scuola e l’università, ma non in un paese come l’Italia, che investe solo il 4 per cento del pil nell’istruzione (cioè meno di quanto spendono gli altri paesi dell’Unione europea tranne Slovacchia e Ungheria, secondo i dati dell’Ocse appena resi pubblici).
Dobbiamo reinventare le forme della partecipazione, della politica e forse della democrazia, e dobbiamo farlo da autodidatti: “Penso che ci siano molte persone e gruppi di persone che stanno fuori dalla cattiva politica e dallo sfogo della ribellione, che studiano e fanno cose buone insieme e facendole si fanno una preparazione e una competenza e anche un’esperienza dei rapporti umani e del loro ruolo nell’impegno a far migliore il mondo, o meno peggiore”, scrive Sofri. Sicuramente queste persone ci sono e probabilmente sono tante. Dovremmo allora andarle a cercare per capire chi sono, per raccontare che fanno e che pensano, per ascoltarle e per dargli spazio.
Questa rubrica è stata pubblicata il 16 settembre 2016 a pagina 5 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati
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