Nella prima inquadratura di Lo and behold, il nuovo film di Werner Herzog, si vedono dei ragazzi che passeggiano nei viali dell’università della California, a Los Angeles. La voce fuori campo del regista tedesco si chiede se quegli studenti sono consapevoli di trovarsi nel luogo in cui è cominciata “una delle più grandi rivoluzioni che gli esseri umani stanno vivendo”. Sul muro accanto alla stanza 3420, in un lungo corridoio illuminato dai neon, una targa ricorda che da lì, alle 22.30 del 29 ottobre 1969 – tre mesi dopo che il primo essere umano aveva messo piede sulla Luna – fu spedito il primo messaggio su Arpanet, la rete da cui poi si è sviluppata internet.

Leonard Kleinrock mostra la grande scatola metallica che, per anni, è stata il primo nodo di internet e da cui è partito quel messaggio. Era diretto all’università di Stanford. Come prima cosa, ricorda Kleinrock, bisognava collegare i due computer che si trovavano a seicento chilometri di distanza. Da Los Angeles cominciarono a digitare “log in”, ma arrivati alla “o” i computer si bloccarono, e il primo messaggio della storia di internet fu banalmente questo: “lo”. È tutto annotato in un grande quaderno ed è, racconta Kleinrock, un po’ come quando Cristoforo Colombo scrisse sul suo diario di bordo di aver avvistato la terra.

Sabato 1 ottobre, quarantasette anni dopo quel messaggio, la supervisione tecnica del sistema che gestisce gli indirizzi di internet è passata definitivamente dal governo statunitense a un’organizzazione non profit che si chiama Icann, che ha sede a Los Angeles e di cui fanno parte governi, aziende, informatici e rappresentanti della società civile. Nell’immediato il fatto non avrà nessuna ripercussione per gli utenti, ma è enorme dal punto di vista simbolico, anche se non è ancora chiaro quali saranno le sue implicazioni.

La rivista di sinistra Jacobin ha scritto che è “l’ultimo capitolo della privatizzazione di internet”, mentre secondo il mensile tecnologico Wired adesso “finalmente internet appartiene a tutti”; i repubblicani Ted Cruz e Donald Trump si sono opposti, mentre Google, Disney e altre grandi aziende private hanno approvato con entusiasmo. Forse ha ragione Stefano Trumpy, rappresentante italiano nell’Icann fino al 2014, che intervistato su Repubblica ha detto: “Entriamo in una fase di nebbia”.

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