Le prime tracce si fanno risalire a Herbert Spencer, filosofo britannico vissuto alla fine dell’ottocento, teorico del darwinismo sociale. Sarebbe stato lui a coniare l’espressione “there is no alternative”, non c’è alternativa. Negli anni ottanta diventò lo slogan preferito di Margaret Thatcher, la premier conservatrice che guidò il Regno Unito tra il 1979 e il 1990. Lo slogan era così diffuso che alcuni cominciarono a usare il suo acronimo: T.I.N.A.
John Berger, scrittore e critico britannico morto l’anno scorso, ha scritto che “non c’è alternativa” è “il reiterato articolo di fede” dei nuovi tiranni, o nuovi profittatori, come preferiva chiamarli.
Di solito chi usa quest’espressione lo fa per dire che bisogna accettare l’attuale sistema economico e il suo ordine sociale così come sono. E che ogni progetto politico basato sull’idea che i cittadini possano immaginare una società diversa è impossibile, utopistico o addirittura pericoloso. Naturalmente sostenere che non c’è alternativa taglia le gambe a qualunque discussione. È inutile mettere a confronto opinioni diverse se una è considerata l’unica opzione concepibile, e non – come dovrebbe – solo una delle scelte a disposizione.
“Non c’è alternativa” riaffiora con una certa frequenza durante le campagne elettorali. È l’espressione più usata per convincere a votare partiti altrimenti difficilmente votabili. Ma al meno peggio rischia di non esserci mai fine. E un’alternativa, a cercarla, c’è sempre.
Questa rubrica è stata pubblicata il 23 febbraio 2018 a pagina 5 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati
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