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Laboratorio

Moxie Marlinspike a Oakland, in California, 2016. (Brian Flaherty, The New York T​imes/Contrasto)

Tutte insieme Microsoft, Apple, Alphabet, Amazon e Facebook avevano, alla fine del 2020, una capitalizzazione di mercato di 7.500 miliardi di dollari. Se fossero un paese, il loro prodotto interno lordo sarebbe il doppio di quello tedesco, quasi quattro volte quello italiano, e sarebbe inferiore solo al pil di Stati Uniti e Cina. Con il valore di queste aziende è cresciuto anche il loro ruolo nelle vite di miliardi di persone. Ma non è stato sempre così, perché la loro storia è relativamente recente.

Google è stata quotata in borsa nel 2005. Nel 1997 la Apple era sull’orlo del fallimento. Il primo anno in cui Amazon ha realizzato dei profitti è stato il 2001. Facebook è nata nel 2004. Le tecnologie che usiamo oggi sono il risultato di un percorso accidentato e in parte casuale nato dall’incontro, negli anni sessanta, di tre gruppi molto diversi tra loro: militari, professori universitari e hippy.

Nel saggio La valle oscura, pubblicato in Italia da Adelphi, Anna Wiener ha raccontato l’evoluzione recente della Silicon valley e l’inizio della fine di quello che molti hanno considerato un sogno. Per scrivere l’articolo che pubblichiamo in copertina ha incontrato più volte Moxie Marlinspike, il fondatore di Signal, un’app di messaggi diventata popolare per la sua attenzione alla privacy. “Tutti dovremmo avere qualcosa da nascondere”, dice Marlinspike echeggiando le parole di Edward Snowden: “Sostenere che non si è interessati alla privacy perché non si ha nulla da nascondere è come affermare che non si è interessati alla libertà di espressione perché non si ha nulla da dire”.

Ma la privacy non è l’unica ragione per cui Signal merita attenzione. L’altra è che si tratta di una società non profit, che non può essere comprata da altre aziende, non va in borsa e deve reinvestire gli utili. Una rivoluzione per la Silicon valley. E se è vero che la California è stata spesso il laboratorio del cambiamento americano, c’è da sperare che il successo di Signal sia l’inizio di una nuova trasformazione.

Questo articolo è uscito sul numero 1396 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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